La ricerca a tavola

    Cardi e società

    Pianta mediterranea per eccellenza, il cardo fa registrare le proprie tracce più antiche in Africa Settentrionale, e, precisamente, in Etiopia, da dove, successivamente, potrebbe essersi diffuso in Egitto. Nella terra del grande Nilo sono stati infatti rinvenuti fossili di cardo in diverse tombe del tempo dei faraoni. Il mondo greco deve aver accolto benissimo questo nuovo arrivato, se già il mitico poeta Alceo gli dedicò una poesia, che, pur con le solite incertezze nelle traduzioni dai classici, dovrebbe intitolarsi ‘Solo il cardo è in fiore’. Un esordio poetico-amoroso di tutto rispetto, seguito da numerose dissertazioni sulle sue proprietà nutraceutiche, già ‘indovinate’ nell’antichità romana da studiosi come Plinio il Vecchio, che, nella sua ‘Naturalis Historia’, lo consigliava per eliminare gli eccessi di bile. L’importanza di questa pianta selvatica, in seguito evoluta anche in un ortaggio coltivabile, incrocia la tradizione cristiana, alla quale risale un’etimologia popolare del cardo mariano. In particolare, i suoi segni bianchi sono fatti risalire al liquido caduto sui rovi di questa pianta mentre la Madonna allattava il piccolo Gesù, durante la fuga nel deserto.
    Le sue virtù terapeutiche, non solo in ambito epatico, sono oggi confermate da sempre più approfonditi studi scientifici, ma erano state intuite già nel Medio Evo. Non è tuttavia solo a queste benemerenze nutraceutiche che il cardo deve la sua buona reputazione. Se, infatti, nella nostra epoca se ne è scoperta anche una valenza ‘energetica’ per la produzione di combustibili bio-diesel, sono ben più antichi i sigilli di questo ortaggio nella storia dell’Occidente. Basti pensare alle significative etimologie cui ha dato origine. Si chiamavano cardatori i lavoratori della lana, che in passato utilizzavano i capolini uncinati della pianta per la prima pettinatura a mano del prodotto, definita appunto, cardatura. Più sorprendente, anche se più ‘laterale’ è l’origine del nome cardellino, secondo molti studiosi risalente agli antichi Romani, che da attenti osservatori della natura, avevano notato il grande consumo, da parte di questo particolare uccello, dei semi di cardi. Un altro antico utilizzo del cardo, questa volta degli enzimi estratti per raffreddamento dai suoi fiori, è stato quello di ottenere un caglio per alcuni tipi di formaggio, come ancora oggi, sia pur in misura minore, avviene in molti territori del Mediterraneo (dalla Penisola Iberica, all’Italia, fino alla Grecia).

    Un ortaggio ‘altolocato’, dunque, trionfante in molte celebri nature morte italiane e spagnole dei secoli d’oro, ma dipinto non solo da grandi specialisti del settore, come il milanese Giuseppe Arcimboldo o l’iberico  Juan Sanchez Cotan, ma anche da un sommo come Caravaggio, e, secoli dopo, dal geniale Vincent Van Gogh. Giusto a testimoniare una dimestichezza del nostro ortaggio con la grande arte di tutte le epoche, fino alla chicca di un poco noto lavoro dannunziano ‘La rosa e il cardo. Lettere da Fiume e dintorni’.

    Trascendono il momento puramente artistico opere come la lirica ‘A red, red rose’, commovente inno all’amore romantico del poeta-compositore Robert Burns, o come i poemi ‘The thistle and the rose’, di William Dumbar (celebre allegoria cinquecentesca sull’unione di Scozia e Inghilterra), ed  ‘A drunk man looks at the thistle’ di Hugh MacDiarmid, considerato il più importante poeta scozzese del secolo scorso. O ancora, come l’ufficioso inno nazionale ‘The flower of Scotland’, di Roy Williamson, basato su musiche tradizionali. In questi e molti altri casi, siamo in una nazione che ha fatto del cardo il suo assoluto simbolo identitario, da quasi mille anni. Risale infatti ai primi secoli del secondo millennio una leggenda che tributa al cardo il sicuro merito di aver difeso gli Scozzesi dall’invasore nemico. Che si trattasse di Danesi o Norvegesi, è poco chiaro, ma il succo del racconto è nella capacità del cardo, da quel momento ‘protettivo’, di pungere il nemico in piena imboscata notturna nelle selvagge ‘Highlands’, consentendo ai prodi Scozzesi di difendere con ardore la propria patria. Da quel momento, il rapporto tra Scozzesi e cardo sconfinerà nella venerazione, esplosa nel secolo XVII, quando fu coniato il ‘Thistle Crown’, una moneta d’oro, e, soprattutto, quando fu ‘rifondato’ l’’Ordine del Cardo’, il principale ordine cavalleresco scozzese e il secondo dell’intera Gran Bretagna, dalle incerte origini medievali. E da allora, in Scozia, il cardo è un emblema ubiquitario. Niente male per una pianta che, come ben racconta una fiaba di Hans Christian Andersen, prima di questi fasti, se ne stava ispida e isolata, lontana dai bei giardini. Caratteristiche, queste, che, il cardo ‘moderno’ ha in parte perso dal momento che in molte parti del mondo si configura come un’erba invasiva e infestante, mal vista da giardinieri ed agricoltori.

    Speriamo che a perdonarla bastino le prelibatezze gastronomiche che può generare!

    Cardo di palude con arringa essiccata o zuppa di miso

    A proposito di mondo, partiamo dall’Estremo Oriente, con una rarissima ricetta giapponese, segnalata da ‘Slow Food’, e destinata solo a ‘gastronauti’ incalliti o ad appassionati viaggiatori virtuali. Il piatto in questione è infatti attestato nel villaggio di Kasuga, presso la città di Ibigawa. Protagonista assoluto della ricetta è il sawa azami, in italiano conosciuto come cardo di palude, i cui gambi vengono consumati in varie modalità (anche in gustose focaccine), quasi sempre abbinate ad aringhe essiccate o a zuppa di miso. Nel resto del Giappone altre varietà di cardi sono invece consumate in forma di rizoma o foglie fresche. Il vino, credo si debba portarlo da casa! In compenso, la scelta è facile e può spaziare tra i principali bianchi della nostra Penisola.

    Cardi con prosciutto e mandorle

    Una ricetta geograficamente alla nostra portata, ma non meno esotica nel gusto, ci viene offerta dalla cucina spagnola, che, per le feste natalizie (si può di nuovo chiamarle così), prevede questo piatto caldo dai sapori originalmente contrastanti. Il vino lo scegliamo guardando soprattutto alla consistenza del prosciutto, ma, considerati gli altri ingredienti presenti, in linea di massima propenderemmo per un bicchiere di robusto Garnacha Blanca della Navarra, regione che ha dato origine alla ricetta.

    Cardi gratinati alla lionese

    Scalando le vette del gusto, e avvicinandoci al nostro Paese, ci trasferiamo in una delle aree gastronomicamente più vocate al mondo, per assaggiare la versione più o meno originale, dei cardi gratinati, abbinandola a un Gamay delle terre intorno a Lione, forse la più apprezzata meta gastronomica di Francia.

    Risotto ai cardi con bagna cauda

    Due miti della cucina piemontese, ‘fusi’ per l’occasione, allo scopo di magnificare il cardo gobbo, specialità del Monferrato, così chiamato per la forma assunta a seguito della pratica dell’imbianchimento. L’ortaggio, interrato e sottratto alla luce diretta, tenta invano di farsi strada verso i raggi solari, e perciò si incurva, guadagnando in ‘dolcezza’ e in altri pregi gastronomici. Ne deriva un prodotto dalle grandi qualità organolettiche, da intingere crudo (caso quasi unico per questa famiglia di ortaggi) nella mitica salsa piemontese a base di olio, aglio, acciughe. Oppure (Vercelli è vicinissima) da cuocere in un tipico risotto. Per questa sintesi di due mondi non sbagliamo se beviamo un Barbera, di qualsiasi denominazione o tipologia, familiare ad entrambi.

    Subric di cardi e patate

    Tradizionali crocchette-frittelle piemontesi con patate, in questo caso si accompagnano ai cardi, mimando in chiave fast, un abbinamento classico da slow food. Una versione da abbinare a un Asti Spumante, nella sempre più diffusa tipologia secca. Soprattutto se il cardo utilizzato è della variante Avorio Isola d’Asti.

    Ravioli con ripieno di cardi e crema di taleggio

    Ultima ricetta piemontese, questa volta accompagnata da un Dolcetto d’Alba di buona struttura.

    Polpette di cardi gobbi di Cervia

    Questi cardi si ‘ingobbiscono’ sotto la sabbia marina. Forse per questo hanno un sapore tutto particolare, e piacciono anche in una versione piuttosto semplice, ma molto gustosa, da accompagnare magari a un fresco Lambrusco.

    Cardi in umido

    Rimaniamo in Romagna, per una ricetta ugualmente basica, ma più prestigiosa. A tramandarcela niente di meno che il maestro Pellegrino Artusi, che chiamava il nostro ortaggio cardone, alla francese. Sperando in un abbinamento con secondi di terra, proviamo un Sangiovese di Romagna. Giusto per restare in zona.

    Carrè di maiale con cardi

    Uno a caso dei tanti possibili matrimoni carnei. Bevendo un Merlot di medio corpo.

    Cardi alla parmigiana

    Modalità di preparazione del cardo che, con alcune, significative varianti (alla perugina, trippati) attraversa l’arco appenninico centrale, ora in versione bianca, ora rossa. In entrambi i casi, meglio nel primo, possiamo provare un Verdicchio dei Castelli di Jesi, recentemente in straordinaria ascesa mondiale.

    Cardo spinoso murgiano con uovo e Caciocavallo Podolico

    Il nome del piatto è già una suadente descrizione. In omaggio alle due eccellenze che lo compongono, concediamoci un Castel del Monte, in base ai gusti, rosso o rosato.

    Cardone beneventano in brodo con stracciatella e polpettine

    L’ultima ricetta qui proposta rappresenta una vera e propria ‘devozione’ natalizia per molti territori dell’Appennino meridionale. Nel Sannio, al cardone si accompagnano stracciatella e polpettine di carne (qui di vitello magro). Anche per questo, nonostante il calore del brodo e le spigolosità del cardo, possiamo bere un Solopoca Rosso, per Eduardo De Filippo il ‘vino di Napoli’, ma saldamente piantato, vigne a terra, nell’areale beneventano.

     

    Ettore Zecchino

     
    Cardi e salute

    Il cardo, o carciofo selvatico, è una varietà di ortaggio, nota scientificamente con il nome di Cynara Cardunculus Altilis. Si tratta di una pianta perenne dal portamento vigoroso, appartenente alla famiglia delle Asteraceae, che nel primo anno forma una rosetta basale di foglie e nel secondo anno lo scapo fiorale, alto fino ad oltre 150 cm. Lo scapo è robusto, striato e ramificato, con rami eretti e, nella parte alta può essere nudo o ragnateloso. Le foglie sono pennatifide, con margine ondulato e lanceolato-lobato, mentre i lobi sono triangolari e terminano con robuste spine. I fiori, dal colore rosa-violaceo, si sviluppano sulla parte superiore della pianta.
    Esistono diverse varietà di cardo: il cardo coltivato (C. cardunculus altilis); il cardo selvatico (C. cardunculus sylvestris); il carciofo (C. cardunculus subsp. scolymus). In particolare, si segnala una varietà di cardo selvatico, diffuso in tutto il Centro, nel Meridione e nelle Isole, chiamato cardo mariano (Silybum marianum), o anche 'cardo benedetto'. Originario delle zone mediterranee, coltivato anche in zone secche e aride, il cardo si usa sia come prodotto alimentare, nelle varietà del cardo e del carciofo, sia come preparato fitoterapico (cardo selvatico o mariano).
    Contrariamente ad altre verdure, il freddo è fondamentale per il nostro ortaggio. Dopo una gelata, la sua consistenza diventa infatti migliore e più tenera.
    Ricco di notevoli proprietà terapeutiche, il cardo è composto prevalentemente da acqua (pari al 94%) e fibre, e presenta una buona concentrazione di sali minerali (potassio, ferro, sodio, calcio e fosforo). Discretamente rappresentate sono anche le vitamine, in particolare quelle appartenenti al gruppo B, e la vitamina C. Uno dei benefici per cui i cardi sono più noti è il supporto e la protezione che offrono al fegato (1). Ciò è determinato dalla presenza della silimarina, una miscela di flavolignani, in grado di favorire la funzionalità epatica e la depurazione di questo organo, specie in caso di intossicazioni causate, per esempio, dall’uso prolungato di alcolici, dal consumo di alimenti pericolosi o pesanti da digerire, quali i funghi, o in caso di alcune patologie, come l’epatite. La silimarina, secondo alcuni studi recenti, sembra anche essere in grado di regolare i livelli di insulina, con l’effetto benefico di contrastare l’insulino-resistenza, condizione che può  evolvere nel diabete. (2) Il cardo ha anche importanti proprietà antiossidanti, merito della vitamina C, che è in grado di limitare l’attività dei radicali liberi, prevenendo l’invecchiamento cellulare. Vanno inoltre ricordate le proprietà galattogene, ovvero di stimolazione della produzione di latte materno, e quelle decongestionanti, quindi di aiuto in caso di stress e affaticamento. Non va dimenticato, infine, che il cardo mariano è noto per la sua azione terapeutica anche nei confronti del colesterolo alto. (3)
    Il cardo è un ortaggio generalmente ben tollerato, che difficilmente provoca reazioni avverse. E’ tuttavia sconsigliato nelle persone ipertese, poiché contiene tiramina, una sostanza che stimola la produzione di dopamina, adrenalina e noradrenalina, che hanno l’effetto di aumentare la pressione arteriosa.

     

    1)Milk thistle (Silybum marianum): A concise overview on its chemistry, pharmacological, and nutraceutical uses in liver diseases

    Ludovico Abenavoli, Angelo A. Izzo, Natasa Milić, Carla Cicala, Antonello Santini, Raffaele Capasso

    2)Silybum marianum (milk thistle) and its main constituent, silymarin, as a potential therapeutic plant in metabolic syndrome: A review

    Atefeh Tajmohammadi, Bibi Marjan Razavi, Hossein Hosseinzadeh

    3) Silymarin and Its Role in Chronic Diseases

    Neha, Amteshwar S Jaggi, Nirmal Singh

     

    Maddalena Pizzulo - nutrizionista

    Castagne e società

    Tenerle in tasca non avrà mai salvato nessuno da affezioni respiratorie o bronchiali, e temiamo serva a pochissimo contro pandemie presenti e future, ma le castagne, come conferma quest’antica credenza magica, sono capaci di traghettarci sempre in un mondo fatato. Padrone dei boschi di alta collina e bassa montagna, conferiscono da sempre un alone romantico a chi li attraversa, non di rado, riparando e rinfrancando. Come, sempre secondo una leggenda, accadde in Sicilia, alla Regina Giovanna e ai suoi cento cavalieri, in sosta da un temporale sotto il Castagno dei Cento Cavalli, reale e ancora ‘vivo’, nell’area etnea. Uno stupendo, immenso esemplare, secondo molti esperti il più antico albero d’Europa. In fondo, una conferma della primazia meridionale in questo campo, letterariamente attestata dal tedesco Herman Hesse, che, nel suo ‘Narciso e Boccadoro’, descrive un castagno tedesco, come uno ieratico, solitario esemplare, proveniente da altre latitudini. Il Mediterraneo, dunque, ancora protagonista, ma non solitario, dal momento che le origini, certamente antichissime della pianta, sono contese tra almeno tre continenti.

    Certo è che già il mondo greco-romano conosceva, consumava e apprezzava molto questo frutto, come attestano passi di Senofonte, Ippocrate, Galeno, e poi Marziale e Plinio il Vecchio, fino al sommo Virgilio. A dire il vero, però, qualche incertezza testuale va dichiarata, dal momento che il termine castagna è spesso sostituito con noce, creando non poca confusione. Certo è, invece, il suo definitivo decollo in ambito imperiale e la sua rapida diffusione ben oltre l’area mediterranea. Il Medioevo, soprattutto grazie ai monasteri, ha fatto il resto, donando alla castagna il ruolo di prim’attrice nelle tavole popolari, e legittimando definitivamente la sua antica identificazione in un vero e proprio albero del pane. La farina di castagne è stata infatti, per molti secoli, essenziale nell’economia alimentare di intere popolazioni (soprattutto, ma non esclusivamente, quelle montane e pedemontane). Più in generale, il nostro frutto, in molte aree, è stato alla base della catena alimentare umana, almeno fino alla metà del secolo scorso, quando mutate condizioni economiche e spopolamento delle montagne l’hanno fatta retrocedere. Con grave danno ambientale, vista la straordinaria capacità dei castagneti ben curati, di dare una forte protezione da frane o altri ‘accidenti geologici’.

    Un’epopea, quella delle castagne, scolpita in tante manifestazioni artistiche. Basti pensare alle grandi nature morte, che, dall’Arcimboldo, in una ideale carrellata nella storia dell’arte pittorica, conducono a grandi impressionisti, quali Renoir e Cezanne, fino al genio tormentato di Vincent Van Gogh. E poi l’alma mater, la letteratura, con citazioni che possono coinvolgere i grandi nomi di Giovanni Boccaccio, Giovan Battista Marino e Ludovico Ariosto, per arrivare a Giosuè Carducci (come non pensare al comune di Castagneto Carducci), e, soprattutto, a una struggente lirica, rigorosamente a tema, di Giovanni Pascoli. Le castagne, in versione ‘buona’ hanno poi dato il titolo a un controverso film del maestro Pietro Germi, e a una nostalgica canzone di Francesco De Gregori, che le evoca insieme al pane come ‘’una poesia perduta nella memoria dei tempi di scuola’’. E poi Lucio Battisti, e poi e poi, ma entrando troppo nel merito, si rischierebbe di essere presi in castagna. Meglio, quindi, tornare alle fiabe, e, citando La Fontaine, togliere le castagne del fuoco, predisponendoci a gustosi assaggi.

    La Cina, potremmo dire, monotonamente, guida il gruppo dei massimi produttori mondiali del nostro frutto, e, quindi, conviene partire da lì per scovare prelibate ricette. Senza, tuttavia, dimenticare il solidissimo primo posto continentale dell’Italia, con una spinta quali-quantitativa molto rilevante fornita proprio dalla nostra Irpinia, nonostante le recenti infestazioni del parassite cinipide galligeno, meglio noto come ‘mosca cinese’ (ci risiamo).

    Pollo brasato alle castagne

    Piatto tipico della regione cinese dello Zhejiang, famosa per la tendenza alle cotture lente dei cibi, si abbina perfettamente con un sontuoso Pinot Nero di Borgogna, già abituato a fronteggiare alla grande i celebri galletti locali.

    Tacchino con le castagne del Thanksgiving

    Da una superpotenza all’altra, troviamo le castagne anche nella versione tra le più classiche di un super-classico quale il tacchino del Giorno del Ringraziamento. Festa religioso-civile tra le più sentite del calendario statunitense, prevede il tacchino come piatto obbligatorio. Facoltativo, ma consigliabile, l’abbinamento con un Cabernet Sauvignon californiano, anche se un vero intenditore potrebbe optare per un morbidissimo Chardonnay della Napa Valley.

    Pulenta di castagne

    Siamo giunti in Europa, ma non inganni il nome, siamo ancora fuori dal suolo patrio. La polenta in questione è infatti corsa, ma, per una volta, i cugini francesi sembrano consegnarsi gastronomicamente alle abitudini italiane, pardon, padane, grassi abbinati inclusi. Un’occasione unica per immergersi in una realtà spesso colpevolmente oscurata, anche in materia enologica. Provare a bere un Nielluccio, per credere convintamente.

    Gnocchi di castagne della Valtellina

    Varcato il confine, ci fermiamo a pochi chilometri dalla frontiera con questa variante saporitissima di un piatto ubiquitario, qui ulteriormente apprezzabile in abbinamento con un bicchiere di Chiavennasca, il Nebiolo locale.

    Tagliatelle alle castagne con il pesto

    Non c’è bisogno di dire in quale regione ci troviamo, come non del tutto originale, ma comunque vincente, è l’abbinamento con un Pigato.

    Zuppa di ceci e castagne

    Uno dei tanti incontri leguminosi possibili per la castagna. In Toscana lo si abbina a un Chianti Classico.

    Castagnaccio

    Rimaniamo in Toscana, ma passiamo a un (poco) dolce, compagno fedele di interi autunni, che richiama alla meditazione, con l’imprescindibile e ‘devoto’ aiuto, di un buon Vin Santo.

    Montblanc

    Nomen omen, si potrebbe in parte dire. E in effetti il bianco panna di questo (dolcissimo) dolce non può non ricordarci il gigante italo-francese. Vagamente sabauda potrebbe considerarsi l’origine del piatto, e, quindi, in piena par condicio, si può optare alternativamente per un Moscato d’Asti o di Frontignan.

    Marron glacè

    Discorso simile per questo dolce, conteso tra il Piemonte e la città francese di Lione, ma, questa volta, non c’è vino che tenga. Meglio un igienico tè o un trasgressivo rum.

    Panzerotti alla marmellata di castagne

    Grandi dolci con le castagne si mangiano anche al Sud. Ecco un esempio, volendo anche specificamente montellese, proposto in una forma garbata, al forno, o sgarbata, molto fritta. In entrambi i casi furoreggia un passito di Aglianico.

    Crostata di castagne

    Ideale per una rinvigorente prima colazione autunnale e invernale, insieme a un caffè caldo ci si sente dei supereroi.

    Caldarroste

    In cauda venenum. E già, chi, almeno una volta nella vita non ha dormito sonni agitati per il rimorso calorico riferito alle tante caldarroste ingurgitate, con la scusa del freddo invernale? E non aiuta a digerire il generoso bicchiere di vino novello che tradizionalmente le accompagna. Se, comunque, le vogliamo onorare di più, stappiamo un buon Marzemino e ascoltiamo il grande Mozart.

     

     Ettore Zecchino

    Castagne e salute

    Gustose e salutari, le castagne sono il frutto della Castanea Sativa, una pianta arborea appartenente alla famiglia delle Fagacee, coltivata nelle regioni temperate di Europa, Asia e Africa Occidentale. Ne esistono quattro specie principali: Castanea Vulgaris o Sativa, in Europa; Castanea Dentata, in Nord America; Castanea Mollissima, in Cina; e Castanea Crenata, in Giappone. La Castanea Sativa può arrivare sino a 25-30 metri di altezza e ha un diametro che può raggiungere i 20 metri. Si tratta di un albero secolare, che ha il tronco eretto e una corteccia liscia e bruno-rossastra, che, raggiunta la maturità, diventa grigio-verde e rugosa, con le screpolature disposte a spirale. Le foglie, di un bel verde intenso, hanno forma lanceolata, con i bordi seghettati. I fiori sono a sessi separati: ci sono i fiori maschili, che formano rametti eretti, di 20-30 centimetri, gli amenti, e, alla base di questi, i fiori femminili, meno numerosi, isolati, racchiusi nella cupola, che è un involucro di protezione. In alcune Fagacee (faggio e quercia) è il vento a trasportare il polline da una pianta all'altra, nel castagno invece sono gli insetti coleotteri ad occuparsene. Avvenuta la fecondazione, la cupola si trasforma, spuntano gli aculei e diventa un riccio a quattro valve. I frutti che sono contenuti nei ricci e la loro posizione al loro interno determinano anche la forma delle castagne: emisferica per i frutti laterali, e schiacciata per quello centrale. È una pianta che ama la luce solare, che cresce bene sui terreni acidi, dove forma boschi puri, i castagneti, o misti, come quelli di faggio e castagno. La castagna è un alimento ricchissimo di nutrienti, tant’è che, fino a qualche decennio fa, rappresentava, per alcune popolazioni, la base alimentare, guadagnandosi l’appellativo di ‘albero del pane’. Essendo ricca di sostanze amidacee, dimostra proprietà energetiche, ed è perciò molto efficace nei casi di astenie e per chi pratica sport o è soggetto a stress, mentre è sconsigliata per i diabetici. Possiede, inoltre, una grande percentuale di sali minerali, come il potassio, che funge da antisettico e rinforza i muscoli; come il fosforo, che è essenziale per la formazione della cellula nervosa; zolfo, sodio, magnesio, che è un vero e proprio equilibratore dell’umore, calcio, essenziale per la formazione delle ossa, cloro, ferro ,ma anche vitamine come B1 (tiamina), B2 (riboflavina), B3 (niacina o PP), B6, B9 (acido folico). La fibra in essa contenuta è ritenuta molto importante per l’effetto positivo sulla motilità intestinale,(1) sulla microflora e sulla riduzione della colesterolemia (2). Infine, la castagna viene utilizzata con successo anche nei casi di anemia, in virtù del suo apporto di acido folico, notoriamente consigliato in gravidanza, per prevenire alcune malformazioni fetali. Non vi sono particolari controindicazioni al loro consumo, sebbene le castagne siano sconsigliate a chi soffre di diabete (a causa del loro alto indice glicemico), colite (poiché potrebbero irritare la mucosa intestinale), obesità (a causa dell’alto apporto calorico) o patologie legate al fegato.

    1) LIVER AND INTESTINAL PROTECTIVE EFFECTS OF CASTANEA SATIVA MILL. BARK EXTRACT IN HIGH-FAT DIET RATS

    Roberta Budriesi ,Fabio Vivarelli , Donatella Canistro , Rita Aldini ,et al.

    2)DIETARY SUPPLEMENTATION WITH CHESTNUT (CASTANEA SATIVA) REDUCES ABDOMINAL ADIPOSITY IN FVB/N MICE: A PRELIMINARY STUDY

    Pedro Rodrigues , Tiago Ferreira , Elisabete Nascimento-Gonçalves  et al.

     

    Maddalena Pizzulo - nutrizionista

    Broccoli e società

    Italiani sin nel nome, che, dalla nostra lingua è ‘passato’ inalterato nella gran parte degli idiomi occidentali, i broccoli sono probabilmente originari del Mediterraneo Orientale, da dove, in era pre-classica, hanno avviato un percorso di colonizzazione inarrestabile del mondo greco-romano. A questi ultimi, in particolare, è attribuito un loro utilizzo massiccio sia in ambito strettamente gastronomico, sia in ambito proto-nutraceutico. Oggi, a farla da padrone, da un punto di vista produttivo, sono i soliti giganti asiatici Cina e India, e l’Italia, secondo gli ultimi rilevamenti statistici (relativi all’intera categoria dei cavoli), retrocede nella top ten, superata anche dalla Spagna, che ha quindi acciuffato il primato europeo. Non di soli numeri è tuttavia fatta la passione per un alimento, e, se da tempo gli italo-americani di Brooklyn non vengono più chiamati ‘broccolini’, la passione gastronomica, tutta italiana, per questo alimento, si è estesa agli States. Una storia partita, a quanto sembra, da alcuni semi piantati da due nostalgici immigrati siciliani nella fertilissima California. Merito non da poco, se si considerano le virtù gastronomiche, e, soprattutto, salutistiche, di questo straordinario prodotto della natura. Dire broccoli, poi, è dire qualcosa di fondamentalmente vago, dal momento che la loro famiglia di appartenenza, quella delle crucifere, annovera molti elementi, differenziabili tra loro più per retaggi storici che per saldi motivi biologici. Certo, in Italia, quando si parla di broccoli, in genere, ci si ferma alle tante varietà così chiamate, su tutte quella ‘romana’, con accettata estensione fino alle cosiddette ‘cime di rapa’, mentre si tende ad escludere i cugini cavoli e verze. Occupandoci, quindi, più direttamente di broccoli, ma non certo delle tante persone, anche note al grande pubblico, che portano questo nome, ora declinato al singolare, ora al plurale, ci viene subito in mente la sua pervasività spazio-temporale. Se un noto proverbio siciliano sentenziava, infatti, con grande eufonia dialettale, che ‘’dopo Pasqua broccoli e predicatori non hanno sapore’’, notiamo invece che di broccoli, in Italia, se ne può mangiare di gran gusto, e nel rispetto dei ritmi naturali, almeno in tre stagioni su quattro. Dalle varietà precoci settembrine, alla produzione principale tardo-autunnale e invernale, ci si può infatti prolungare tranquillamente fino al maggio inoltrato, con alcune apprezzatissime varietà primaverili, come il riscoperto ‘Aprilatico’ di Paternopoli e alcuni suoi cugini lombardo-veneti. Tra tutte le varietà, non si può negare il primato estetico al broccolo romano, che, pure, stranamente, nonostante le sue straordinarie ramificazioni simil floreali, ha attirato solo marginalmente l’attenzione dei poeti. Citato piuttosto ‘asetticamente’ dai due grandi padri del dialetto romanesco (Belli e Trilussa), ha, in compenso, suscitato la viva attenzione di illustri matematici. Il broccolo romano, infatti, è un frattale, e il numero delle rosette che lo compongono rientra nella celebre successione di Fibonacci. Il fenomeno ha altri noti esempi in natura, ed è solo leggendario l’interessamento del grande pisano al nostro ortaggio. In compenso, studi recentissimi attribuiscono questa meraviglia estetica alla sua natura ‘biologica’ di fiore mancato, attribuitale con evidenza scientifica. Del resto, è stato detto che, ai suoi livelli più alti, la matematica altro non è che ‘bellezza sublime’. Poche e scarse sono, invece, le attestazioni ‘umanistiche’, limitate anzi a citazioni un tantino ‘malinconiche’, riferite alla sua natura di piatto necessario, ma povero. Non si può, comunque, non ricordare la pasta e broccoli di un capolavoro del Neorealismo cinematografico come ‘Roma città aperta’ di Roberto Rossellini. Una rivincita piena, e, probabilmente in grado di sfidare il tempo, i broccoli se la sono per fortuna presa nella ricerca, che scova ogni anno nuove proprietà nutraceutiche dell’alimento, e in cucina, dove, non sempre in compagnia di cibi altrettanto salutari, fa capolino in tante apprezzate ricette che dalla culla italica sono da tempo partite in direzioni diverse nel mondo, dall’Estremo Oriente, al Grande Nord, solo per citare due aree nelle quali il posto conquistato sembra solidissimo.

    Partendo dal consueto suggerimento di consumare questa verdura nella maniera quanto più possibile ‘vergine’, bollita, o appena passata in padella con un olio di oliva di qualità, proviamo anche questa volta ad avventurarci in preparazioni via via più elaborate.

    Broccoli affogati alla siciliana

    Piatto diffuso un po’ ovunque, ma di maggiore pregnanza nella sua versione catanese, si realizza con vino rosso, acciughe e pecorino, e, pur essendo un contorno natalizio, può avere la valenza piena di un secondo, soprattutto se si rafforzano gli ingredienti di accompagnamento. Per prolungarne il sapore si può accompagnarli allo stesso vino usato in cucina. Magari un Nerello mascalese etneo.

    Pancotto con i broccoli

    Grandioso piatto della tradizione italiana, ingannevolmente facile nell’esecuzione, proverbialmente sublimato da una spruzzatina di peperoncino. Per l’abbinamento la ragione vede bianco, ma credo che il cuore punti diritto a uno dei tanti rossi della tradizione.

    Broccoli e patate

    Totò nella ‘Banda degli onesti’ rinfacciava a Peppino De Filippo, rassegnato a questo piatto povero, una sgangherata sequenza di spaghetti alle vongole e carne alla pizzaiola. Non si può non essere con Peppino, suffragati anche da recentissimi studi che evidenziano l’utilità del broccolo per ridurre l’impatto glicemico della patata. Magari, per consolarsi e nobilitarsi un pò, avrebbe potuto bere un mezzo bicchiere di Falerno del Massico Bianco. Meno facilmente superabile, in queste ore, è, invece, la perdita del Ponte di Ferro del quartiere Ostiense, recentemente distrutto da un incendio, a Roma, e, all’epoca, scenario di alcune scene del simpatico film.

    Minestra di broccoli e arzilla

    La par condicio comica ci impone di soffermarci su questo straordinario piatto della tradizione romanesca, cantato, tra gli altri, dal grande Aldo Fabrizi, per il quale rappresentava ‘una ricaduta’ settimanale, in grado di affondare tutti i tentativi di dieta. A dire il vero, protagonista principale è la razza (arzilla in romanesco), ma accanto a questo pesce il broccolo romano è una perfetta spalla. Per il vino, inutile dire, puntiamo i piedi nella tradizione, e suggeriamo un Marino o un Frascati, meglio se bianchi, ma assolutamente non escludendo i corrispettivi rossi.

    Pizza gialla con cime di rapa e peperoni cruschi

    Versione ufitana di un abbinamento sempre trionfante, questa pizza di grano duro, denominata localmente ‘allu chincu’, dal nome dialettale del recipiente in cui è cotta, è un gustosissimo antipasto, ma, volendo anche un pasto completo, im una fredda serata tardo autunnale. D’obbligo un matrimonio con un Colli Taurasini, per onorare ad ogni vendemmia sua maestà l’Aglianico.

    Quiche ai broccoli

    Una delle tante versioni possibili di questa arcinota torta salata alsaziana ci porta a suggerire l’assaggio di un conterraneo Riesling, altra importante gloria regionale.

    Noodles con broccoli

    Antichissima versione cinese dei nostri spaghetti, diffusasi nei secoli in tutto l’Estremo Oriente, per questa ricetta, spesso arricchita da altre verdure e funghi, ma meno speziata della media orientale, ci sembra ideale un abbinamento con un bianco aromatico, ma delicato, come un Sauvignon Blanc della Loira.

    Orecchiette con le cime di rapa

    Iconico piatto barese, rivisitato in tutto il Paese, è probabilmente la ricetta italiana più famosa con i broccoli nel ruolo di co-protagonisti. Un apporto importante lo danno anche alici, aglio e peperoncino, senza dimenticare la qualità della pasta, tradizionalmente fresca. Scontato un abbinamento territoriale, ad esempio con un Locorotondo Bianco.

    Frittata con i broccoli

    Per gli amanti dei sapori amari, da ammorbidire appena un po’, sorseggiando un buon rosato salentino.

    Trancio di salmone al forno con broccoli

    Non certo un piatto della tradizione, ma un’ulteriore prova della sua diffusione nei Paesi nordici. Da questa nuova rotta commerciale, che vede un ‘ideale’ scambio di tesori tra Mediterraneo e Baltico, nasce un piatto unico (in genere accompagnato da una patata) dalla notevole forza nutraceutica e dal gusto raffinato e insieme selvaggio, come sanno esserlo alcuni ‘burrosi’ Chardonnay di Borgogna, suoi ideali compagni di strada.

    Salsicce e friarielli

    Last but not least, ecco un piatto che un po’ sciupa le virtù nutraceutiche del broccolo, in questo caso proverbialmente selvatico, ma che raramente incontra resistenze sul fronte del gusto. La sua consistenza ci può portare anche dalle parti di un Taurasi, ma non un Riserva.

     

    Ettore Zecchino

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