Invito alla lettura

    Sovrumano

    Capitolo finale di una trilogia di gran successo, ‘Sovrumano. Oltre i limiti della nostra intelligenza’, di Nello Cristianini (Editore Il Mulino), si chiede se le macchine ‘intelligenti’ potranno mai uguagliarci, o, perfino, superarci. Un quesito al quale l’autore sembra rispondere affermativamente, esortando l’umanità a prepararsi adeguatamente alla circostanza. Un evento ‘eccitante’, ma non privo di problematicità per l’uomo, proiettato verso questo straordinario ‘successo di specie’, ma, al tempo stesso, comprensibilmente timoroso delle sue imprevedibili conseguenze.
    In ‘Sovrumano’, il goriziano Nello Cristianini, da decenni ricercatore e docente di IA nel Regno Unito (attualmente ordinario presso l’Università di Bath), ci fa capire che la domanda delle domande di Alain Turing sulla possibilità, per una macchina, di esibire comportamenti intelligenti, ha avuto, già da qualche tempo, una risposta sicuramente affermativa. Di intelligenza delle macchine si può infatti parlare come di un dato di fatto, anche se, per il momento, solo se riferita a una logica settoriale. Il professore Cristianini ci guida, quindi, con efficace sintesi, lungo il percorso di crescita delle macchine, capaci di diventare gradualmente intelligenti, e, velocemente, super-intelligenti, in ambiti specialistici. Come uomini siamo infatti stati definitivamente superati in moltissimi campi, dall’abilità in raffinati giochi da tavolo, come gli scacchi o il cinese go, al riconoscimento facciale, dalla diagnostica in alcuni campi della medicina, alle traduzioni automatiche in tante lingue, e via elencando, in una spettacolare progressione di prestazioni.
    Meno scontato, almeno per il lettore inesperto, è il punto centrale del libro, dove si viene condotti con mano nel fascinoso mondo degli addestratori e dei valutatori delle macchine intelligenti, in perenne ‘competizione’ tra loro, ma, in fondo, accomunati dall’obiettivo comune dello sviluppo di un’intelligenza artificiale generale. La sfida, solo pochi anni fa dal sapore esclusivamente fantascientifico, ha invece, secondo Cristianini e i suoi studi, il sapore della stretta attualità. Le macchine, ormai, a loro modo ‘ragionano’, conversano impeccabilmente, e, grazie alla cosiddetta ‘logica della scala’, ovvero alla capacità di crescere esponenzialmente in relazione alla mole di informazioni e dati che sono in grado di analizzare in tempi per noi proibitivi, possono considerarsi vicine al traguardo. O almeno, fa notare Cristianini, non c’è niente che ci dimostri il contrario. L’intelligenza va infatti misurata secondo parametri complessi e accettati dalla comunità scientifica internazionale, e, in base a questi, rivelata grazie a test via via sempre più accurati. Proprio quello che si sta facendo nel mondo delle grandi multinazionali di settore e in quello accademico. Test e prove che raccontano di un avvicinamento progressivo all’obiettivo. Al momento, date ormai per scontate l’intelligenza settoriale, la capacità comunicativa e, in molti sensi, creativa, dell’Intelligenza Artificiale, ed essendo imminente il debutto su larga scala delle ‘macchine agenti’, i due passi ancora da compiere sarebbero, a detta dell’opinione scientifica dominante, la capacità di innovare e quella di organizzarsi. In fondo, sembra dirci Cristianini, un progresso non proibitivo, considerato, dalla gran parte degli scienziati interpellati, alla portata del nostro decennio.

    Ma, una volta eguagliati, perché non ammettere la possibilità di essere rapidamente superati? Questa domanda da brivido spiega, finalmente, il senso profondo del titolo del libro, che attribuisce alle macchine del nostro futuro prossimo la possibilità di trascendere i limiti della natura umana. Il concetto di sovrumano, quindi, non ha mai una valenza metafisica. Di qui, la capacità dell’autore di ‘andare oltre’ e di chiedersi la natura di questo ‘superamento’. Se, infatti, è già molto affascinante perdersi nelle elucubrazioni su un’intelligenza da noi ‘creata’, capace di superarci di molto sul nostro stesso terreno, vertiginoso è pensare a un’IA in grado di capire cose per noi totalmente incomprensibili. Eventualità, a pensarci bene, consequenziale, e capace di spostare inimmaginabilmente più avanti la complessità del tema.

    Questo tipo di evoluzione dell’Intelligenza Artificiale, sembra ammonirci Cristianini, porta con sé problematiche che superano di slancio quelle, di enorme impatto ‘pratico’ sulle nostre vite, di cui si dibatte ormai spesso. Siamo, infatti, a un vero e proprio cambio di paradigma, in grado di mettere in crisi la nostra stessa capacità di autorappresentazione. Circostanza temutissima dall’autore, che, un po' a sorpresa, nella parte finale del libro, fa appello alla cultura umanistica come alla vera ancora di salvezza per un ‘sapiens’ sempre più bisognoso di individuare elementi esclusivi del suo sé.
    Emozioni, sentimenti, volontà, libero arbitrio, coscienza, spera Cristianini, saranno i bastioni della nostra umanità, sempre pronta ad affrontare ciò che ci supera con speranza, fede e dignitosa resistenza.
    Una conclusione, insieme, fatalista e ottimista, rispetto all’inattingibile e misteriosa complessità della vita, immortalata da William Shakespeare in uno dei versi più celebri del suo ‘Amleto’, con il quale Cristianini si congeda (crediamo provvisoriamente) dai suoi lettori.

     

    Ettore Zecchino

     
    Il lessico dei Greci

    Ragguardevole sintesi di una vita di studi umanistici, condensata in pochi lemmi e non moltissime pagine, ‘Il lessico dei Greci. Una civiltà in 30 parole’, di Giulio Guidorizzi (Raffaello Cortina Editore), si offre al lettore con la semplicità di una prosa scorrevole, in grado di attenuare la complessità dei concetti trattati. L’autore, lungi dal semplificare ciò che rimane complesso, scommette infatti sulla chiarezza del linguaggio come grimaldello per il nostro ingresso in un mondo che ad ogni evidenza padroneggia e sente proprio. E così, la Grecia classica rivive attraverso trenta parole, che, tuttavia, come nelle scatole cinesi, ne inglobano almeno altrettante, scelte da Guidorizzi in ragione della loro importanza, ma ‘presentate’ in un ordine che si sforza di essere, almeno in parte, cronologico. Come per il caos (cháos) primissimamente alla base di tutto, secondo il superlativo avverbiale utilizzato da Esiodo nella sua ‘Teogonia’. Un disordine, ma più propriamente un vuoto, che sarà poi ordinato da philía (amicizia), e, soprattutto, da éros, forza aggregatrice per eccellenza, e, a sua volta, paradigma assoluto del disordine nell’animo umano. Una dicotomia che si ripete più o meno casualmente nel corso del libro e che, in modo diverso, prende forma anche nel secondo capitolo, dedicato all’anima (psyché) omericamente soffio vitale di ogni individuo, ma, successivamente, espressione completa dell’io interiore. Un’autocoscienza che, in qualche modo, si perde con l’irruzione dell’entusiasmo (enthousiasmós), dai Greci concepito come un cedimento della ragione, sotto la spinta di forze divine, capaci, attraverso altre vie, di condurre alla follia (manía), o al sogno (óneiros), concepito come qualcosa di estraneo che viene ad abitarci.
    Dalle forze primordiali, Guidorizzi ci guida poi in un lungo viaggio nella civiltà greca, sempre rigidamente patriarcale (patér), ma da tribale presto evolutasi in ‘cittadina’, come attesta l’evoluzione del gámos (matrimonio), con conseguente ridimensionamento di valori arcaici, quali l’ospitalità (xenía) e il dono (dóron). Non originale, ma altamente suggestiva, in questa sezione, è l’antica dicotomia tra giustizia e legge (díke e nómos), come dire tra regole assolute e relative. Un dilemma trattato con dotti richiami a Omero ed Esiodo, ma fatalmente racchiuso nell’ottica dell’Antigone sofoclea.
    Anche la civiltà greca non è insensibile al sacro, ma Guidorizzi, in una prospettiva forse epicurea, sembra dare un peso relativo agli Dei, concentrandosi, invece, su concetti meta-religiosi, quali il destino, la sorte, la necessità (moíra, týche, anánke), sublimati nella tragica vicenda, ancora una volta sofoclea, dello sventurato Edipo, ma cruciali in moltissimi episodi omerici. Ed è proprio al leggendario cantore cieco che il nostro autore si rivolge lungo tutto il percorso, dedicando, inoltre, un intero capitolo a quelli che chiama i valori omerici, come la gloria e la vergogna (kléos e aidós), ma anche l’eccellenza nello sport (agón-gara). Valori cruciali per tanta arte ellenica, espressa attraverso le due forme della parola: il mito (mýthos) e il discorso razionale (lógos), alla base della poesia e della retorica, intesa come arte (rhetoriké).
    Il saggio di Guidorizzi si chiude con uno sguardo ai saperi, dalla politica (politiké), alla medicina, nella sua accezione di cura (therapeía), fino alla sapienza (sophía), tre immensi regali della Grecia antica al mondo. L’ultimo dei quali, nella forma più specificamente filosofica, inteso anche come una bussola per la ricerca della felicità. Il sapiente, infatti, punta a conoscere sé stesso, ma anche a vivere in società con sé stesso, partendo dalla prometeica convinzione che l’uomo è la misura di tutte le cose.
    E - sembra dirci Guidorizzi - in tempi di intelligenza artificiale e di nuovi orizzonti ultra-umani, Socrate, Platone e Aristotele sono più attrezzati di Schopenhauer o Nietzsche.

     

    Ettore Zecchino

    Il futuro è già qui

    Agile e intrigante saggio sul tema attualissimo dell’intelligenza artificiale, affrontato da molteplici punti di vista, ‘Il futuro è già qui’ (Strade Blu Mondadori) porta la firma di Barbara Gallavotti, divulgatrice scientifica a denominazione di origine controllata e garantita. Non sorprende, dunque, che la sua maestria, affinata, tra l’altro, in decenni di collaborazione con la premiata ditta ‘Quark’, affiori sin dalle prime battute del libro, che, dopo un prologo esplicativo, ci regala un ‘tuffo’ dentro un viaggio storico-letterario, alla ricerca dei precedenti, o, più propriamente, dei ‘presupposti’ dell’IA. Ecco, quindi, i primi automi progettati nell’era alessandrina, perfezionati e magnificati dal seducente mondo arabo in piena atmosfera da ‘Mille e una notte’, e, finalmente, inquadrati ‘matematicamente’ in Europa, a partire, sia pur disorganicamente, dalla Prima Rivoluzione Scientifica. Un percorso – avverte subito l’autrice – che è il <<risultato di tre sfide che scorrono per un vasto tratto separatamente, ma che poi finiscono per confluire in un unico, potente corso d’acqua>>, e che consistono nel tentativo di: creare macchine che imitino gli esseri viventi; comprendere il nostro cervello; mettere a punto altre macchine, capaci di compiere azioni caratteristiche della mente umana. <<Le sorgenti di questi tre fiumi – ammonisce ancora l’autrice – sono molto lontane>>, ma tale constatazione non ci impedisce la partenza per un viaggio avvincente nella storia prima e nell’epistemologia poi, di un fenomeno tecnologico oggi letteralmente esploso e la cui portata è persino riduttivo definire epocale.
    Dagli accenni ai ‘fantastici’ automi di Erone di Alessandria e, molti secoli dopo, di Ismail al-Jazari, il libro ci conduce nell’Europa moderna di Galileo, Cartesio, Pascal, Leibniz, per poi mettere un punto all’apparire della figura, ancora non abbastanza celebrata, di Alan Turing. All’indiscusso padre britannico dell’informatica, Barbara Gallavotti sembra guardare anche come al principale antesignano del concetto stesso di Intelligenza Artificiale (denominazione, dall’autrice considerata inquietante, coniata nel 1956 nel dipartimento di matematica del Dartmouth College, New Hampshire, nell’ambito di un consesso di super cervelli, appositamente riuniti). Tale denominazione è preceduta e accompagnata da una definizione empirica e ‘in negativo’ risalente allo stesso Turing, orientato a considerare l’IA una realtà ancora sostanzialmente inattuata. Secondo il decifratore di Enigma (il sistema di comunicazione in codice, tra le cause dello strapotere militare nazista), una macchina può infatti dirsi intelligente solo quando è identificata come tale dall’interlocutore umano. Una circostanza – fa notare Barbara Gallavotti – dal 2022 non più fantascientifica, grazie all’avvento di ChapGPT e delle sue straordinarie ‘capacità’. Un punto di svolta straordinario, ma, per la stessa Gallavotti, non ancora decisivo, vista la persistente incapacità di qualunque macchina a mostrare consapevolezza piena del reale, di cui pure realizza una perfetta ‘comprensione’ grazie alla stupefacente capacità di elaborazione dei tanti dati in suo possesso. Un ‘indottrinamento’, quindi, di origine umana, e, pertanto, figlio diretto della cara, vecchia intelligenza naturale, a tutt’oggi l’unica in grado di mostrarsi autocosciente e autenticamente creativa (questa seconda prerogativa, in realtà, è oggetto di intenso dibattito tra gli esperti di tutto il mondo). Anche la più sviluppata intelligenza artificiale generativa, priva come è di autonomia operativa, può agire solo ‘in seconda battuta’, come sviluppo dell’intelligenza naturale, di cui può, quindi, considerarsi uno ‘strumento’, benché sofisticatissimo. Come, in altro senso, certamente lo sono le concettualizzazioni e le stesse applicazioni in materia di cyborgs e androidi, destinate ad aiutare sempre di più l’umanità sofferente e clinicamente malata, nell’ambito di un uso ‘medico’ dell’IA, già molto efficace nella diagnostica.
    L’intelligenza artificiale – sembra dire l’autrice – è già tra noi e, imitando funzionalmente il nostro cervello (superandolo di moltissimo nel calcolo ‘bruto’, ma non avvicinandolo neppure lontanamente in molte altre funzioni), ci supporta in tante operazioni quotidiane, alleviando gli sforzi del nostro presente e prospettandoci un nuovo modo di vivere, non privo di inquietanti effetti collaterali, in ambito soprattutto economico e lavoristico. Conseguenze ed effetti mitigabili, nella speranza, dalla Gallavotti convintamente espressa, di un ulteriore sviluppo dell’IA, pur messo in pericolo dalla sua dispendiosità energetica, ad oggi insostenibile.
    Un auspicio e un augurio, conclude la nota divulgatrice scientifica, possibili solo se sapremo considerarla e viverla come un’opportunità e non come un destino ineluttabile e se sapremo, per questo, stimolare, al massimo grado possibile, la nostra insostituibile intelligenza naturale.

    Ettore Zecchino

    Proiezioni

    Saggio scientifico-letterario tra i più acclamati degli ultimi anni, ‘Proiezioni. Una storia delle emozioni umane’, di Karl Deisseroth, rappresenta un passaggio particolarmente incisivo nel cammino di riavvicinamento tra le due culture, avviato da anni in Occidente. A guardar bene, anzi, il lavoro del celebre bioingegnere e psichiatra statunitense, in Italia edito da Bollati Boringhieri, appare squilibrato sul lato umanistico. La passione di Deisseroth per la letteratura, avidamente ‘consumata’ sin dall’infanzia, sembra infatti limitare, almeno in qualche passaggio, la comprensione delle avveniristiche scoperte neurobiologiche realizzate grazie all’optogenetica, tecnica scientifica emergente, messa a punto, con pochi altri, proprio da Karl Deisseroth. Un’autentica rivoluzione del sapere, fondata sulla capacità di accendere o spegnere specifiche cellule cerebrali usando la luce. Un cambio di passo epocale che, pur spiegato in molti passaggi del libro, è come ‘oscurato’ dalle ‘nuvole letterarie’ che lo sovrastano. I vari e penosi ‘casi psichiatrici’, alla base dell’ordito cucito dall’autore, lungi dall’essere solo un pretesto per descrivere i passi avanti fatti dalla ricerca, assumono, quindi, valenza a sé stante, ‘caricati’ come sono di empatia e di pathos poetico. Una sorta di romanzo incastrato nel saggio, che ci porta a contatto con un’umanità problematica e dolente, fatta di persone che Deisseroth ‘promuove’ al rango di personaggi.
    Un’impostazione, tuttavia, capace di ‘abbracciare’ per intero la complessità del tema trattato, fugando i rischi, in questa materia altissimi, di un determinismo quasi fatale. L’optogenetica, quotidianamente praticata da Karl Deisseroth nel suo laboratorio di Stanford, consente, infatti, con assoluta precisione, di evidenziare il comportamento ‘meccanico’ dei neuroni, esposti a ben precise sollecitazioni luminose. Azioni e reazioni testate su modelli murini, ma anche sui ‘trasparenti’ pesci zebrafish, in grado di far vacillare qualunque certezza in merito a concetti come libero arbitrio e coscienza, vengono, quindi, ‘problematizzate’ attraverso il ricorso alla valenza soggettiva, e, quindi, sfuggente, delle emozioni umane. Come a dire che rimane sempre inaccessibile il perché siamo coscienti e, al tempo stesso, continua ad essere inattingibile il ‘sentimento’ soggettivo collegato al nostro sé e alle sue più varie manifestazioni.
    L’autore, condizionato dall’intensità dei gravi casi clinici con i quali è a contatto da oltre 30 anni, conserva la capacità di provare empatia e, con essa, quella di ‘curvare’, in una dimensione fascinosamente emotiva, le crude evidenze della ricerca scientifica funzionalmente portata avanti. Spettacolare diventa, quindi, il testo, nel momento in cui, quasi in maniera epifanica, riesce ad offrire geniali quadrature del cerchio tra gravi patologie psichiche mirabilmente, ma delicatamente descritte, e le loro possibili spiegazioni scientifiche; ma anche fra immersioni in lenti e suggestivi percorsi della nostra storia evolutiva e repentini trasferimenti nelle accelerazioni tecnologiche della contemporaneità. Frammenti di verità che, forse, solo le malattie mentali, viste in controluce, sanno tragicamente offrire a un’umanità accomunata dalla capacità di provare qualcosa che - dice un poeta - <<è dentro te, ma nella mente mia non c’è>>. Qualcosa che, secondo un terribile esperimento mentale posto a chiusura del libro, potrebbe essere riprodotta fuori da un corpo integro, ma che, a ben vedere, in quel caso potremmo chiamare, tutt’al più, ‘proiezione’.

     

    Ettore Zecchino

    Più In Alto Degli Dèi

    Avvincente viaggio nell’avveniristico mondo della biologia e della genetica molecolare, ‘Più In Alto Degli Dèi, l’ingegneria dell’uomo prossimo venturo’, di Marco Crescenzi (Oscar Saggi Mondadori), è, nonostante il titolo, una ‘sobria’ ricognizione dell’attuale stato dell’arte in queste innovative discipline. Lontano da qualunque tipo di sensazionalismo o anche solo da facili ruffianerie di genere, il testo appare sin dalle prime pagine come un ausilio utilissimo per il lettore medio, desideroso di saperne di più su un argomento cruciale dei nostri giorni. Tutti abbiamo infatti il diritto di assumere posizioni consapevoli nel dibattito carsico, in corso nella società globalizzata, su numerosi temi sensibili sollevati dalle prospettive offerte all’umanità dall’ingegneria genetica. Le descrizioni di Marco Crescenzi, dirigente di ricerca presso l’Istituto Superiore di Sanità e appassionato didatta e divulgatore, diventano, quindi, occasione di conoscenza per un lettore tendenzialmente generalista, al quale viene, del resto, espressamente lasciata tutta intera la ‘libertà di scelta’ relativamente agli aspetti etici (e a maggior ragione religiosi) che la materia sottende.
    Il libro, lungi dall’essere una fredda esposizione degli studi in corso, affascina e cattura grazie all’abilità dell’autore di tirare le corde giuste per suscitare un sano stupore. Lo svolgimento, ordinato e piano, parte da considerazioni generali ed introduttive, per poi addentrarsi nello specifico delle questioni, dalla biologia e genetica molecolari alla terapia genica fino alle frontiere più avanzate del cosiddetto ‘transumanesimo’, disseminando i paragrafi di stimoli e sorprese. Come quelli anti-antropocentrici, fondati su verità biologiche controintuitive, quali l’inesistenza del concetto di invecchiamento (secondo i parametri umani attualmente in uso) per diverse specie, pur mortali, del mondo vegetale e animale. O come il raggelante ridimensionamento dell’efficienza biologica di noi uomini, non solo in materie ‘risapute’, come forza, velocità e prestazioni fisiche varie, ma, soprattutto, nel campo specifico della salute, incapaci come siamo, ad esempio, di rigenerare le nostre membra o di approntare contromisure biologiche a tanti pericoli esterni (a partire dal temutissimo cancro). Virtù e caratteristiche appannaggio di una non trascurabile parte del mondo vegetale e animale. All’uomo, zavorrato per di più dalla piena consapevolezza della propria condizione mortale, inevitabile fonte di ansia, non resta quindi che ‘usare’ quel prolungamento di sé che, grazie al continuo progresso scientifico e per mezzo dello sviluppo tecnologico, gli consente di superare i molti svantaggi che la sua natura biologica presenta rispetto ad altre specie.
    A questo punto, scattano molti interrogativi scientifici ed etici. L’autore approfondisce preferenzialmente i primi, dimostrandoci che, da un lato, i progressi in corso non possono non definirsi straordinari, ma dall’altro che non sempre le scoperte realizzate possono dirsi prive di ‘effetti collaterali’ noti e, soprattutto, eventuali ed ignoti.
    Sconfessando il titolo di questo suo saggio, Marco Crescenzi ci fa senz’altro vivere consapevolmente l’ascesa inarrestabile delle scienze biogenetiche, ma, con onestà intellettuale, ce ne indica impietosamente i limiti. O, per meglio dire, ci evidenzia la complessità del reale, mettendoci al cospetto di bivi inattesi, facendoci comprendere che anche scoperte sensazionali e grandi passi in avanti scientifici e clinici non sono mai esenti da rischi collaterali, o, almeno, da scelte sofferte.
    L’approccio di Crescenzi, sempre ottimista e scientificamente proiettato al futuro, induce sicuramente nel lettore grande fiducia nel progresso e, proprio per questo, non contempla ‘zone grigie’, come le recenti gravissime violazioni registrate da un avventuriero cinese, il primo, ma forse non l’unico Frankenstein dei nostri giorni.
    Un’arma efficace contro derive di tal genere - sembra questa la mission di Crescenzi - è quella dell’istruzione e informazione su temi universali e straordinariamente sensibili come questo.
    Auguriamoci che non si fermi qui.

     

    Ettore Zecchino

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