La ricerca a tavola

    Funghi e salute

    I funghi sono organismi ben distinti dai vegetali, per morfologia, vita vegetativa, proprietà e riproduzione, costituendo, infatti, un regno a sé stante. Possono crescere praticamente ovunque, dai boschi ai prati, dal deserto ai terreni rocciosi. Le specie di funghi sono innumerevoli, molte velenose, altre commestibili e dalle proprietà terapeutiche. Quelli più conosciuti, dal punto di vista alimentare, sono certamente il porcino, il cardoncello, lo champignon, il gallinaccio e il chiodino.
    I funghi hanno una struttura molto semplice, senza fusto e senza foglie. Il loro corpo vegetativo è chiamato tallo ed è costituito da tre parti distinte: micelio, gambo e cappello. Il micelio è quell'intreccio di sottili filamenti che si trova alla base del gambo. Le pareti che delimitano il tallo sono molto sottili e presentano strutture stratificate e chimiche complesse. Sono infatti dotate di polimeri fibrillari, all’interno, e polimeri amorfi, a costituire la matrice. Il loro componente principale è la chitina, un polimero di N-acetilglucosamina, organizzato in microfibre. Altri componenti sono gli alfa-glucani e i chitosani.
    I funghi hanno una crescita esclusivamente apicale, con nuove pareti che vengono sintetizzate solo all’apice, dove le ife (i filamenti che lo costituiscono) tendono a ramificarsi, andando ad occupare gli spazi liberi e formando colonie. Più ife possono organizzarsi insieme a formare strutture più o meno complesse. Il micelio, col verificarsi di particolari condizioni climatiche (umidità elevata, temperature non troppo basse e assenza di vento), produce il corpo fruttifero, cioè una struttura carnosa, estremamente variabile per forma, colori e dimensioni, deputata alla formazione e distribuzione delle spore. Queste ultime servono alla disseminazione del fungo e sono strutture piccolissime, caratterizzate da colori, dimensioni e forme particolari. Quando le spore cadono in un luogo adatto, germinano, dando origine a nuovi miceli, che potranno formare nuovi corpi fruttiferi e nuove generazioni di spore. Durante il suo sviluppo, il micelio assorbe il nutrimento dal terreno, invadendo e degradando la materia organica presente in esso. Alcune specie colonizzano solamente lo strato superficiale della lettiera (foglie, frutti e piccoli rami). Altre invadono direttamente il legno di grossi tronchi e lentamente lo decompongono. Altre ancora sono legate in stretta simbiosi con alberi e arbusti.
    I funghi sono ricchi di proteine, come la lisina e il triptofano, ma anche di vitamine e sali minerali. Vi troviamo, ad esempio, la vitamina E e la vitamina C, sostanze antiossidanti, (1) utili per la prevenzione di patologie tumorali e di malattie legate all’invecchiamento. Contengono betacarotene e vitamine del gruppo B, tra cui la vitamina B3 (che contribuisce al buon funzionamento del sistema nervoso e ad una corretta ossigenazione del sangue) e la vitamina B2 (necessaria sia per la produzione di globuli rossi sia per il metabolismo di proteine, grassi e carboidrati). Inoltre, contengono potassio, fosforo, calcio (importanti per il nostro apparato scheletrico), ferro, rame e zolfo (tutti indispensabili per il corretto funzionamento del nostro organismo). Sono anche ricchi di selenio, il cui apporto nutrizionale è considerato importante per rafforzare le difese immunitarie. (2) Sono infatti ritenuti da secoli un vero e proprio antibiotico naturale e vengono indicati dalla medicina non convenzionale come un alimento da assumere durante il cambio di stagione, per proteggersi dai malanni autunnali. E ancora, i funghi fanno abbassare il colesterolo, (3) tengono sotto controllo la pressione arteriosa e contengono fibre solubili, utilissime per spazzare via dal nostro intestino le sostanze tossiche, i grassi e gli zuccheri in eccesso. (4)
    Tuttavia, possono avere delle controindicazioni. Un consumo eccessivo di questo alimento è, ad esempio, sconsigliato a chi ha problemi digestivi, a causa della micosina che può renderli indigesti. Sono inoltre controindicati se si soffre di calcoli renali, gotta e/o malattie dell'apparato circolatorio. Chi li raccoglie nei boschi deve conoscere perfettamente tutte le tipologie presenti in quel dato luogo, dal momento che alcune di queste potrebbero essere tossiche o velenose. Per questo motivo, è fondamentale sottoporre i funghi raccolti ai controlli della locale ASL.
    Facendo parte della famiglia delle muffe, i funghi sono infine sconsigliati a chi ne è allergico, e spesso anche a chi è intollerante ai lieviti.

    1)THE ANTIOXIDANT POTENTIAL OF DIFFERENT EDIBLE AND MEDICINAL MUSHROOMS

    Ruth W Mwangi, John M Macharia, Isabel N Wagara, Raposa L Bence.

    2)MUSHROOMS AND IMMUNITY

    Francesca Motta, M Eric Gershwin, Carlo Selmi.

    3)EFFECT OF DIETARY MAITAKE (GRIFOLA FRONDOSA) MUSHROOMS ON PLASMA CHOLESTEROL AND HEPATIC GENE EXPRESSION IN CHOLESTEROL-FED MICE

    Mayumi Sato, Yoshihiko Tokuji, Shozo Yoneyama, Kyoko Fujii-Akiyama, Mikio Kinoshita, Hideyuki Chiji, Masao Ohnishi.

    4)A CRITICAL REVIEW ON HEALTH PROMOTING BENEFITS OF EDIBLE MUSHROOMS THROUGH GUT MICROBIOTA

    Muthukumaran Jayachandran, Jianbo Xiao, Baojun Xu.

     

    Maddalena Pizzulo - nutrizionista

     
    Cipolla e società

    Originaria dell’Asia centro-occidentale, la cipolla ha probabilmente sfamato i costruttori delle grandi piramidi egizie, e, certamente, gli ebrei ivi deportati, che, come attesta la Bibbia, durante la lunga e sofferta traversata nel deserto, rimpiangevano tali bulbi, quotidianamente consumati nella terra dei faraoni. Questi ultimi li elevarono a simbolo di connessione con mondi ultraterreni. La loro forma sferica e concentrica sembrava infatti richiamare la vita eterna, mentre il loro intenso odore era considerato capace di proteggere i morti nelle tombe dai potenti influssi malevoli (leggi anche batteri). Furono, in crescendo, i Fenici, i Greci e i Romani, ad intuire l’alta valenza nutritiva della cipolla, scoprendo inoltre virtù salutistiche rilanciate nel Medio Evo, per poi confermarsi in molti casi fino alla nostra epoca. Oggi, infatti, non poche di queste ragguardevoli caratteristiche sono attestate da scrupolosi studi scientifici.
    Tra gastronomia e salute, ma anche considerando svariati altri usi, il cammino della cipolla è stato da subito lungo e intenso, tanto da spingerla, nei secoli, in tutto il globo, dalla lontana Asia alle Americhe, dove fu introdotta da Cristoforo Colombo.

    Attualmente i maggiori produttori di cipolla sono i due giganti asiatici Cina e India, seguiti a grande distanza da Egitto e Stati Uniti. L’Italia, come in altri casi, si difende per la qualità delle sue coltivazioni, grazie a una trentina di varietà territoriali, alcune delle quali pregiatissime.

    Come quelle di Certaldo, ricordate dal famoso concittadino Giovanni Boccaccio, grazie a Fra Cipolla, protagonista di una novella del Decamerone. Ed è solo uno dei tanti attestati artistici conferiti al nostro alimento, presente, ad esempio, in alcune suggestive nature morte dello specialista Arcimboldo, ma anche in quelle di pittori ‘eclettici’, come Carracci, Cezanne e Van Gogh. Quasi pittorica è pure un’immagine evocata da Dostoevskij nel suo capolavoro ‘I fratelli Karamazov’. Qui, rifacendosi a una leggenda popolare russa, il grande scrittore descrive la definitiva caduta negli inferi di una donna perfida, incapace, per egoismo, di aggrapparsi, condividendola con altre anime, alla robusta pianta di cipolla fatta comparire da un angelo desideroso di salvarle l’anima.
    Dopo tanta prosa di alto livello, alla cipolla viene riservata una sublime ode da un ispirato Pablo Neruda, che annoveriamo nel virtuale club degli innamorati del bulbo. Tanto da vincere per k.o. tecnico, in quel di Capri, una tenzone gastronomica con il suo amico Mario Alicata. Sopraffatto, il compagno comunista italiano, da delizie ‘poetiche’ come le cipolle marinate nel vino rosso, un pasticcio fritto incipollatissimo o una cerviche di gamberi di Capri carichi di cipolla violetta. Tutti piatti elencati in un menù ancora conservato e cucinati, a quanto pare, grazie all'aiuto della futura terza e ultima moglie del poeta cileno, Matilde Urrutia.

    Non di sola letteratura vive, tuttavia, il nostro ortaggio, presente anche in altri prestigiosi ambiti socio-culturali e spesso al centro di proverbi e sentenze dall’antica fortuna. Per non parlare della capacità, dovuta soprattutto alla sua forma, di designare di volta in volta stili architettonici (le cupole a cipolla) e creazioni sartoriali (vestirsi a cipolla), per finire direttamente negli elenchi telefonici (da Giovanni Boccaccio in poi il nome e successivamente il cognome Cipolla ne ha fatta di strada).
    Non poteva quindi passare inosservata al cinema dove ha dato il titolo ad alcuni film apprezzati dai cinefili come, tra gli altri, il ‘Campo di cipolle’ (The Onion Field), diretto nel 1979 da Harold Becker, o come il western all’italiana ‘Cipolla Colt’ di Enzo G. Castellari. Fino a titoli più recenti, dal festivaliero ‘Cipolla di montagna’ di Eldar Shibanov, al ‘commerciale’ ‘Cipolla di vetro’ di Rian Johnson. Cinefili permettendo, lo spot più importante per il nostro ortaggio risale, tuttavia, almeno in Italia, al 1976 e alla celebre frittatona di cipolle, appena addentata da un libidinosissimo Paolo Villaggio ne ‘Il secondo, tragico Fantozzi’. Il tapino, pronto a gustarsi da buon italiano medio calciofilo, Inghilterra-Italia, godendosi il suo piatto preferito davanti alla Tv, con birra ghiacciata, ‘’urlo indiavolato e rutto libero’’, finirà, al secondo morso, in un cinema aziendale, davanti a un obbligatorio film cecoslovacco, ‘’ma con sottotitoli in tedesco’’.

    E sarà proprio questa una delle ricette da proporre, in omaggio a un ortaggio che, bianco, rosso, ramato o di altri colori, è capillarmente presente in tutte le cucine del mondo.

    Chutney di cipolla
    Partiamo come sempre dall’Asia, ma questa volta diamo spazio all’India, con questa ricetta vegetale e speziatissima, che alle cipolle aggiunge peperoncini essiccati, tamarindo, curcuma, cumino, mostarda, aglio, curry e via speziando, per un contorno che è ben più di una salsa. Quanto al vino, forse in maniera pilatesca, rimandiamo alla portata principale.

    Frittelle di cipolle
    Vedi sopra per il ricco corredo di spezie. Scegliamo di abbinarlo, come già per altri cibi della tradizione indiana, a un gewurztraminer altoatesino.

    Onion Rings
    Versione americana del piatto indiano, sconta la passione tutta anglosassone per ketchup e maionese, ma si mangia anche al naturale. Spesso nei tipici diner statunitensi questi coreografici anelli si accompagnano a un grosso hamburger. Per questo beviamo convinti un possente Cabernet californiano.

    Cipolle ripiene
    Piatto universale, spesso comprendente carne. In Arabia Saudita, ad esempio, quella di agnello, ma senza la compagnia del vino.

    Tortilla di patate e cipolle
    Come altre volte entriamo in Europa dalla Penisola iberica e scegliamo un piatto che ci è familiare, non solo per il nome da noi un po’ italianizzato. Di frittata comunque si tratta, ma forte è l’apporto delle patate. Come aperitivo, a piccole dosi, non ce la sentiamo di rinunciare a uno Sherry. Più che altro, una nostra debolezza.

    Zuppa di cipolle
    Per antonomasia è quella francese (soupe à l’oignon), caldissima e formaggiosa. Beviamo un Sauvignon Blanc o un rosato di Bandol. In realtà, con le papille annichilite da tanto calore, dovremmo decidere dando un attento sguardo al resto del menù.
    Zwiebelkuchen
    Paese che vai, cipolla che trovi. In Germania spesso è molto dolce e si fa mangiare con gusto in questa robusta e sapida torta rustica. Questa volta l’abbinamento è obbligatorio e chiama in causa il Federweisser, leggero e frizzantino, in fondo solo un quasi vino, ma esclusivamente autunnale, proprio come questa ricetta.

    Bratwurst con salsa alle cipolle
    Siamo ancora in Germania, in tempo di Oktoberfest, e diamo quindi un’occasionale tribuna alla ‘rivale’ birra, purchè rigorosamente bavarese.

    Frittata di cipolle
    Il rientro a casa può avvenire da qualunque lato, tanto è ubiquitario questo classico della nostra tradizione gastronomica. Fantozzi ha già detto tutto. Non ci resta che scegliere, partigianamente, un buon Greco di Tufo, per sgrassare con grazia la dorata frittura.

    Fegato alla veneziana
    Certo, l’attore protagonista è il fegato, ma senza una spalla come la cipolla, in questo caso quella bianca di Chioggia, non sarebbe da Oscar. Restiamo in Veneto, bevendo un Valpolicella Ripasso.

    Sarde in saor
    Qui sempre di spalla si tratta, ma molto possente. Al punto da deviare, insieme alla forte marinatura, qualsiasi sentore vinicolo. Ci proviamo comunque con un buon Soave.

    Focaccia genovese con le cipolle
    Semplice ma irresistibile. Sorseggiamo amabilmente un bianco della Val Polcevera, praticamente a chilometro zero.

    Friggione bolognese
    Autentica istituzione della cucina felsinea, questo contorno di cipolle e pomodori leggermente agrodolce è un piatto originalissimo, pur nella sostanziale ‘ordinarietà’ degli ingredienti. In casuale corrispondenza con la zuppa di cipolle francese (bianca), scegliamo un Sauvignon, ma dei Colli Bolognesi. Comunque, dipende quasi tutto dalla portata che accompagna.

    Cipolline Borettane in agrodolce
    Rimaniamo in Emilia Romagna per omaggiare una cipolla che sembra nata per questa preparazione. Al momento del vino un buon riesling ci consente di non sventolare bandiera bianca.

    Parmigiana di cipolle
    Questa volta non siamo al Sud, ma nella centrale Umbria, dove uno dei modi per apprezzare la rinomata cipolla di Cannara, è alla parmigiana. Tra i vini della conterranea Doc Trasimeno la scelta è ampia e ‘discrezionale’.

    Lampascioni fritti
    Non sono cipolle, ma le si avvicinano tantissimo. Per questo trasgrediamo doppiamente mangiandoli fritti, ovviamente in Puglia. E coerentemente beviamo un bombino bianco spumantizzato. Piatto solo per apparati digerenti perfettamente funzionanti.

    Bucatini con cipolla di Tropea e soppressata
    Robusto primo piatto calabrese, che gioca sul contrasto tra la dolcezza della cipolla di Tropea e la sapidità della soppressata. Merita un buon Cirò, non riserva, ma neppure tanto giovane.

    Cipolle di Tropea caramellate
    Quella di Tropea è forse la cipolla più apprezzata in Italia. Proposta in questo modo moltiplica la sua straordinaria dolcezza naturale e accompagna perfettamente svariati secondi piatti o gustosi contorni, come gli anelli di melanzane al forno. Da sola, magari spalmata su un crostino di pane, può indurci ad aprire un bianco un tantino amabile, come il celeberrimo Cannellino di Frascati.

    Confettura di cipolle di Tropea
    Si abbina generalmente a una fetta di buon formaggio stagionato, che guida la scelta del vino. Consigliabile un abbinamento regionale sia per il formaggio sia per il vino.

    Cipolle infornate
    Piatto semplice solo all’apparenza, che si esalta in presenza delle cipolle di Giarratana, di dimensione extra-large. Siamo, almeno virtualmente, in terra di Trinacria, e ammiriamo estasiati il vulcano più alto d’Italia dall’etichetta di un Etna Bianco.

    Insalata di tonno, fagioli e cipolla
    Restiamo in Sicilia per un piatto non strettamente tipico. Ma qui il tonno è ‘un’altra cosa’. La cipolla è da preferire rossa. Per il vino possiamo anche migrare al Nord, per ‘par condicio’. Citando Tornatore, ci troviamo però a Napoli, dove si beve un fresco sorso di falanghina.

    Ziti alla genovese
    E a Napoli ci andiamo con piacere, anche per mangiare questo monumentale piatto di pasta e per chiudere in bellezza la rubrica, mettendo in risalto le straordinarie caratteristiche della nostrana cipolla ramata di Montoro. Replichiamo con un bicchiere di falanghina, ma agli irriducibili di altri colori è concesso un conterraneo piedirosso.

    Ettore Zecchino

    Cipolla e salute

    La cipolla (Allium cepa L.) è una pianta erbacea biennale bulbosa della famiglia delle Amaryllidaceae. Il suo apparato radicale è costituito da numerose radici fascicolate e superficiali (in genere nei primi 20-25 cm di terreno), di colore biancastro, normalmente sprovviste di peli radicali e carnose. Quando germina, emette una piccola foglia carnosa a forma di anello, che, crescendo, diventa dritta. Le altre foglie, emergenti successivamente, sono spesse e gonfie nella parte inferiore, di forma quasi cilindrica, mentre nella parte superiore diventano più sottili e affusolate. L’ispessimento della parte basale delle foglie, che divengono carnose, colorate di viola o rosso, porta alla formazione del bulbo, che è la parte edule della pianta. All’esterno esso è ricoperto da una membrana molto sottile, mentre all’interno è ricco di sostanze di riserva. Durante il secondo anno di vita, dal bulbo emerge lo scapo fiorale, che ha forma ad ombrello e che è composto da 3-4 parti principali e da molti fiori. Questi ultimi sono detti proterandri, perché la parte maschile (le antere) matura prima degli ovuli. Dalla fecondazione di ogni fiore si forma una capsula, che contiene 1-2 semi, scuri e molto leggeri. E’ abbastanza resistente alle basse temperature, tanto che la germinazione, pur avvenendo in condizioni ottimali intorno ai 20-25°C, può iniziare già a valori di 0-1°C. Le varietà della specie si distinguono per la forma del bulbo, per il sapore e per il colore delle tuniche, che vanno dal giallo-paglierino al rosso e al bianco.
    La cipolla è ricca di numerose componenti che apportano svariate proprietà benefiche all’organismo grazie alla loro azione antibatterica, antivirale, antimicotica, antiossidante, antitumorale e antidiabetica (1).

    Essa infatti è formata da:

    Fibre: Tra queste, l’inulina, preziosa per il benessere del nostro intestino e per scongiurare il rischio di cancro al colon, grazie all’azione positiva sul microbiota intestinale;

    Vitamina C: Un antiossidante che contribuisce alla protezione delle cellule dallo stress ossidativo e alla normale funzione del sistema immunitario, ma anche all’aumento della biodisponibilità del ferro alimentare;

    Acido folico: Essenziale per la corretta funzione cellulare;

    Fosforo: Elemento strutturale di denti e ossa;

    Calcio: Importante per le ossa, i muscoli e i nervi;

    Vitamina B6: Protagonista della sintesi di diversi neurotrasmettitori;

    Potassio: Coinvolto nel controllo della pressione sanguigna, nella salute cardiaca, nella trasmissione nervosa e nello scambio idro-salino a livello cellulare;

    Antocianine: Pigmenti ricchi di proprietà antiossidanti, aiutano a prevenire le malattie neuronali. Hanno inoltre proprietà antinfiammatorie, chemioterapiche, cardioprotettive, epatoprotettive e neuroprotettive (2);

    Quercetina: Flavonoide vegetale con azione antiossidante, antinfiammatoria e anti obesità (3);

    Composti dello zolfo: Conferiscono alle cipolle gran parte delle loro proprietà. Si tratta principalmente di solfuri e polisolfuri, che possono avere effetti preventivi contro il cancro (4), possono inibire la crescita di microrganismi nocivi e prevenire la formazione di coaguli di sangue ( 5). Sono infatti in grado di ridurre  i livelli ematici di colesterolo e dei trigliceridi, salvaguardando cosi la salute del cuore. Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato che le cipolle possono abbassare i livelli degli zuccheri nel sangue, riducendo il rischio di diabete (6).
    Nonostante le loro numerose proprietà e benefici per la salute, le cipolle sono, tuttavia, una fonte certa di importanti effetti collaterali, che vanno dal semplice bruciore di stomaco al meteorismo, fino a reazioni allergiche, anche gravi.

    1) ALLIUM CEPA: A TREASURE OF BIOACTIVE PHYTOCHEMICALS WITH PROSPECTIVE HEALTH BENEFITS
    Arka Jyoti Chakraborti, Tanveer Mahtab Uddin, BM Redwan Matin Zidan, Saikat Mitra, Rajib Das, Firzan Nainu, Kuldeep Dhama, Arpita Roy, Md Jamal Hossain, Ameer Khusro, Talha bin Emran.

     2)   ONION ANTHOCYANINS: EXTRACTION, STABILITY, BIOAVAILABILITY, DIETARY EFFECT, AND HEALTH IMPLICATIONS
    Mahesh Kumar Samota, Madhvi Sharma, Kulwinder Kaur, Sarita, Dinesh Kumar Yadav, Abhay K Pandey, Yamini Tak, Mandeep Rawat, Julie Thakur, Heena Rani. 

    3) EFFECTS OF DRIED ONION POWDER AND QUERCETIN ON OBESITY-ASSOCIATED HEPATIC MENIFESTATION AND RETINOPATHY
    Wen-Lung Chang, Pei-Yi Liu, Shu-Lan Yeh, Huei-Jane Lee.
    4) ANTITUMOR ALLIUM SULFIDES
    Toshihiro Nohara, Yukio Fujiwara, Mona El-Aasr, Tsuyoshi Ikeda, Masateru Ono, Daisuke Nakano, Junei Kinjo.
    5AN ONION VARIETY HAS NATURAL ANTITHROMBOTIC EFFECT AS ASSESSED BY THROMBOSIS/THROMBOLYSIS MODELS IN RODENTSKaori Yamada, Aki Naemura, Naoko Sawashita, Yuji Noguchi, Junichiro Yamamoto.

    6) EFFICIENCY OF RED ONION PEEL EXTRACT CAPSULES ON OBESITY AND BLOOD SUGAR
    Khaled F Mahmoud, Amal Z Hammouda, Hatem S Ali, Azza A Amin.

     

    Maddalena Pizzulo  - nutrizionista

    Baccalà, stoccafisso e società

    Protagonisti nelle tavole natalizie di buona parte dell’Occidente, il baccalà e lo stoccafisso derivano entrambi, in origine, dal merluzzo atlantico, sottoposto a salatura nel primo caso e ad essicazione nel secondo. La loro area di produzione si colloca prevalentemente nell’Atlantico Nord-Occidentale, limitandosi quasi alla sola Norvegia per lo stoccafisso. Espressioni entrambi di due modi antichissimi di conservare gli alimenti, affondano le loro origini in tempi remoti, ma la loro storia è ben documentata a partire dall’ultimo millennio. L’essiccazione è probabilmente un processo più antico, data la sua assoluta ‘naturalità’. Quanta alla salatura, da sempre applicata a tanti alimenti, fu estesa al baccalà per un’intuizione dei pescatori di balene (forse baschi o vichinghi), resisi conto di poter applicare il metodo già utilizzato per conservare la carne dei giganteschi cetacei anche ai molto più piccoli (ma comunque imponenti) merluzzi, incontrati in grandi quantità sulle rotte nord-atlantiche. E grazie a questa intelligente riconversione i marinai si trovarono a bordo delle loro navi molto cibo proteico, ma anche un barometro ante litteram. Quando il pesce iniziava a dissalarsi leggermente, a causa dell’umidità, era infatti facile prevedere l’arrivo di tempeste.
    Se il baccalà si diffuse ‘carsicamente’ grazie alle rotte del commercio marittimo vichingo, basco e iberico, sulla ‘scoperta’ dello stoccafisso disponiamo di una data ben precisa e di un protagonista ben identificabile. Si tratta del patrizio veneziano Pietro Querini, che, a capo di una spedizione commerciale della Serenissima, partito da Creta con un carico di malvasia e altri prodotti locali, non raggiunse mai la destinazione prevista delle Fiandre. E così, dopo naufragi e peripezie, fu spiaggiato insieme a pochi compagni superstiti, nelle remote isole Lofoten, in Norvegia. Siamo nel gennaio del 1432 e, dopo alcuni giorni di fortunosa sopravvivenza solitaria, il gruppo fu generosamente ospitato dagli abitanti dell’isola di Røst, dai quali presto apprese l’arte di conservare un pregiato merluzzo (Gadus morhua), presente copiosamente in quei mari. Essiccato per circa tre mesi tra fine inverno e primavera alle rigide, ma non proibitive temperature delle Lofoten, questo pesce, di consistenza e aspetto ligneo, veniva chiamato stocvisch (pesce a bastone) da cui il successivo nome italiano. Un riferimento al legno che curiosamente troviamo altrettanto chiaramente anche nel nome del cugino baccalà, guardando sia all’etimologia germanica sia a quella latina. Insomma, un rapporto inscindibile, in grado di sminuire le significative differenze tra i due e di accentuare le similitudini. A rischio di sfociare in una sostanziale ignoranza generale sul punto, accentuata da clamorose bizzarrie linguistiche, come vedremo più avanti.
    Certo, la materia si presta ad equivoci e stranezze. Come quella della concentrazione della produzione in pochissime regioni del mondo (essenzialmente Islanda, Norvegia, Canada, Danimarca, con le appendici Fær Øer e Groenlandia), ma della sua enorme diffusione in Paesi mediterranei come Portogallo, Spagna e Italia, apparentemente incomprensibile, vista la grande disponibilità di pesce fresco in questa parte del mondo. Eppure, da sempre, la storia dei due alimenti e le rotte commerciali conseguenti devono tantissimo proprio ai Paesi del Sud e alla loro religione, il Cattolicesimo, che, in piena Controriforma, ha sempre incoraggiato il consumo di cibi considerati magri, in quanto alternativi alla ‘lussuriosa’ carne. In Portogallo, ad esempio, si contano letteralmente alcune centinaia di ricette con il baccalà, divenuto, nel secolo scorso, un autentico simbolo identitario nazionale. Segue per passione e per i numeri relativi all’importazione proprio l’Italia, dove letteralmente ogni regione ha almeno una ricetta tipica fondata su questi pesci.
    Alla fantasia italica si devono, del resto, piccoli gioielli artistici riferibili ai due ‘cugini’, come un minuscolo poema eduardiano, una scanzonata canzone interpretata da Orietta Berti, e altre due, in crescendo intellettuale, di Pino Daniele e Paolo Conte. Quanto a Totò, nato signore, conferma la sua ‘generosità’ nel quasi omonimo film, rendendo il povero Carlo Croccolo consumatore abituale dell’allora ancora ‘povero’ baccalà. Un anacronismo, come dimostrano le tante ricette di alta cucina che il nostro ispira quotidianamente. Preferiamo tuttavia, come sempre, concentrare la nostra attenzione sui piatti della tradizione, in questo caso, plurisecolare.

    Fanesca

    Il consueto excursus extra-europeo parte questa volta dall’America Meridionale. In Ecuador ha grande importanza nella dieta indigena una sorta di zuppa, capace di mettere insieme cereali, legumi, uova, verdure varie e baccalà. Un incontro tra mari e monti e tra cristianesimo e paganesimo, innaffiato in genere dalla leggera birra locale. Incoraggiare la nascente industria vinicola ecuadoregna ci appare velleitario, e, quindi, suggeriamo un rosato da uve syrah del vicino Cile.
    Lutefisk

    Tipico piatto scandinavo, soprattutto norvegese, il lutefisk è sorprendentemente un baccalà o uno stoccafisso marinato nella liscivia. Un alimento, quindi, ad alto rischio di tossicità, e, necessitante quindi, di una lunga, laboriosa e accorta preparazione. Attività che infatti parte generalmente alla fine di novembre, per dare poi i suoi abbondanti ‘frutti’ durante il periodo natalizio, quando, mondato di ogni possibile impurità, troneggia in tutte le tavole scandinave, accompagnato da patate, purea di piselli e pancetta. In questo caso ‘rischiamo’ un abbinamento tutto glocal, con un promettente Solaris, varietà adatta a climi estremi, magari in versione spumantizzata, per affrontare al meglio una pietanza così ‘caustica’.

    Brandade de morue

    Ricetta più familiare, ma non troppo, questo baccalà alla provenzale, con patate, alloro, scalogno e l’immancabile panna, lo accompagniamo a uno dei tanti buoni bianchi di una regione che eccelle per i rosati.

    Bacalao al pil pil
    Porta d’ingresso verso un mondo dove il baccalà è al top, ecco un piatto basco nel quale, accanto al nostro pesce salato, primeggiano olio di oliva, aglio e peperoncini, su un letto di maionese verde, realizzata mescolando gli ingredienti con un movimento energico e rotatorio. Beviamo un tipicissimo Txakoli, con la sua gradevole vena insieme aromatica e acida.

    Bachalau a Bras
    Siamo nel Paese delle mille ricette e scegliamo semplicemente una delle più note, ideata (pare) nel quartiere del Bairro Alto, a Lisbona, dallo chef omonimo. Qui al baccalà si aggiungono patate tagliate a fiammifero, sale, pepe, olio extravergine, olive nere, cipolle e uova, per un piatto dalla consistenza quasi ‘frittatosa’. Ricetta appetitosa, ben domata da un conterraneo Vinho Verde, da uve alvarinho.

    Baccalà alla vicentina
    Sbarchiamo in Italia ed esordiamo con una ricetta super-rappresentativa, ma alla base di uno dei tanti equivoci precedentemente annunciati. Se, infatti, a molti è noto il piatto, nella sua ormai iconica forma e colore, non moltissimi sanno che trattasi indiscutibilmente di stoccafisso. Pigrizia e presunta eufonia hanno infatti portato i veneti a non cambiare mai il nome, palesemente errato, nonostante la pioneristica impresa del corregionale Querini. Siamo comunque al cospetto di una delizia, resa preziosa dai giorni di preparativi e dalla qualità degli ingredienti, con olio e latte in eguale quantità e con generosa cipolla. Servito quasi sempre con la polenta, è uno straordinario piatto unico tutt’altro che magro. Da sgrassare, anzi, con un Vespaiolo di Breganze.

    Baccalà mantecato alla veneziana

    Per la denominazione vedere sopra, per la valutazione, leggere il grande Artusi, che considera questa preparazione la più ‘signorile’ possibile del nostro stoccafisso. Si tratta di un’emulsione cremosa a base di olio di oliva, aglio, limone, alloro, sale e pepe. Protagonista assoluto nei cicheti (spuntini) serviti in tutti i bacari (osterie) dell’eterna Serenissima. In genere finisce sui crostini, ma può adagiarsi anche su piccoli pezzi di polenta fritta. Lo abbiniamo a un Metodo Classico Monti Lessini Doc, per un aperitivo di gran classe.

    Baccalà alla cappuccina

    Dopo tanta mondanità ripariamo in convento, ma, a dire il vero, la tentazione persiste, indotta da ingredienti come cannella, pinoli, uvetta, noce moscata, capaci di stuzzicare in agro-dolce. Siamo in Friuli e osiamo un Picolit. Dopo questo piatto, infatti, possiamo solo meditare.
    Brandacujun
    Ricetta misteriosa e un filino ‘scabrosa’ nel nome, è in realtà una versione ligure del baccalà mantecato già incontrato in Veneto. Valore aggiunto, taggiasca, abbinamento sicuro, Pigato.
    Frittelle di baccalà alla modenese
    Grintoso street food in una città gastronomicamente talvolta magnificamente slow, questo gustoso snack è l’altra faccia del Natale gastronomico modenese, nell’immaginario collettivo appiattito sul binomio lenticchie e cotechino-zampone. Punto d’incontro tra i due piatti può essere un buon Lambrusco di Sorbara.
    Filetti di baccalà fritti alla romana
    Versione romanesca della ricetta precedente, prevede pezzi molto più grandi e sposa egregiamente un bianco dei Castelli, anche spumantizzato. Nella Capitale alcuni locali si fondano su questo gustoso cibo da strada.

    Stoccafisso all’anconitana
    Con consapevole approssimazione eleviamo questa ricetta a paradigma di tante altre vagamente simili, sparse lungo la penisola. Ci perdonino quindi Livorno, l’Abruzzo, Napoli e giù fino a Messina, ma la ricetta anconetana è forse più delle altre emblema gastronomico di un’intera città. Il piatto, ricchissimo, comprende, secondo quanto sacramentato da un’apposita Confraternita, prezzemolo, maggiorana, carote, pomodori, sedano, patate a pasta gialla, cipolla, aglio, burro, vino bianco, rosmarino, sale e pepe macinato al momento, capperi dissalati, olio extravergine di oliva, acciughe dissalate, brodo vegetale. Dinanzi a tanta abbondanza, un po’ inebriati, ci consentiamo una piccola trasgressione e puntiamo su un Rosso Conero.
    Stocco alla mammolese
    Unica eccezione alla regola appena enunciata ce la consentiamo per omaggiare uno dei più importanti prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Siamo a Mammola, località in provincia di Reggio Calabria e capitale indiscussa dello stocco. Mangiare questo piatto in loco è quasi imprescindibile, ma, a distanza, per sentirci meno lontani, apriamo una bottiglia di buon nerello calabrese.

    Baccalà arracanato
    Versione prevalentemente molisana di un piatto agrodolce punteggiato da una cascata di mollica di pane, da cui il nome. In Molise si produce una discreta falanghina. Senza esitazione la abbiniamo a questa ricetta, magari in una versione leggermente surmatura.
    Insalata di rinforzo e baccalà
    Siamo a Napoli, durante la cena della vigilia. E qualcuno opta per un ‘rinforzo del rinforzo’. Alla già robusta insalata di olive, cavolfiori, peperoni sotto aceto etc etc, si può aggiungere il baccalà avanzato dalla frittura. Se ne ha facoltà, come per la scelta di un Coda di Volpe per l’abbinamento.
    Mussillo in casseruola
    Altra piccola violazione della regola annunciata. La spieghiamo con la bellezza del nome, in dialetto partenopeo, del filetto di baccalà. Ma anche con il matrimonio Nord-Sud che involontariamente rappresenta. Ottimo l’abbinamento con un giovane piedirosso.
    Parmigiana di baccalà
    In Campania, come in Sicilia, quasi tutto diventa parmigiana. Per una ricetta rustica, ecco un rosso rustico, come un giovane Piedirosso dei Campi Flegrei. Talvolta ‘repetita iuvant’.

    Baccalà alla pertecaregna
    Ricetta già incontrata in un’altra tappa della nostra rubrica, la riproponiamo per l’assoluta pertinenza con i due protagonisti di oggi. In questo caso generalmente si pensa al baccalà, anche se il peperone crusco è un co-protagonista a tutti gli effetti. Almeno nella lucana Senise, sua patria riconosciuta, e nell’intera Alta Irpinia, patria aggiunta. Sul vino innoviamo, bevendo sì un aglianico, ma rosato.

     

    Ettore Zecchino

    Baccalà, stoccafisso e salute

    La conservazione sotto sale del merluzzo dà origine ad un prodotto noto con il nome di baccalà. Si tratta del merluzzo nordico grigio (Gadus macrocephalus), che non va confuso con lo stoccafisso, ovvero merluzzo nordico bianco, (Gadus morhua), preparato per la conservazione tramite essiccazione, senza l'uso del sale. Quest’ultimo viene infatti essiccato per ventilazione fredda ed irraggiamento solare, mentre il baccalà è asciugato forzatamente per salatura, grazie all’effetto osmotico del sale grosso. Il baccalà e lo stoccafisso hanno in comune la materia prima, ovvero il merluzzo, di altissima qualità, dissanguato direttamente a bordo dei pescherecci e quindi lavato e pulito in acqua corrente. Da questo momento in poi i processi di lavorazione sono completamente differenti.  In particolare, per lo stoccafisso si utilizza il merluzzo norvegese della specie Gadus morhua, che viene essiccato all’aperto, grazie all’azione del sole e del vento, su apposite rastrelliere. Durante il periodo di essiccazione si effettuano costanti controlli sulla distanza tra un merluzzo e l’altro allo scopo di far circolare l’aria, evitando la formazione di residui di sangue, che ridurrebbero la qualità del prodotto finale. Per il baccalà, invece, il processo di salatura dura tre settimane, durante le quali i merluzzi vengono collocati in grandi casse, ricoperti di sale e rigirati ogni 4-5 giorni, in modo che possano assorbire tutto il sale e perdere l’acqua in eccesso. Si può parlare quindi di baccalà solo quando il contenuto di sale assorbito dal merluzzo durante la salatura supera il 18%. Le differenze nutrizionali tra baccalà e stoccafisso sono poche ed entrambi, grazie ai rispettivi processi di conservazione, mantengono la maggior parte delle loro proprietà.
    Tra queste, segnaliamo la presenza di:

    OMEGA 3: gli omega 3 sono acidi grassi polinsaturi in grado di mantenere sotto controllo il livello di colesterolo cattivo e quindi di contribuire  alla salute del cuore e al mantenimento della corretta pressione sanguigna. In particolare, gli omega3 ostacolano l’accumulo di grassi sulle pareti delle arterie, abbassando, di conseguenza, anche il rischio di infarto e ictus. (1)

    PROTEINE: le proteine contenute sia nel baccalà sia nello stoccafisso sono ad alto livello biologico, poiché ricche di amminoacidi essenziali.

     VITAMINE A, E e DEL GRUPPO B: la vitamina A è fondamentale per il corretto sviluppo e per il mantenimento del sistema visivo e scheletrico. La vitamina E svolge un ruolo antiossidante, anticoagulante e rinforzante del sistema immunitario. Le vitamine del gruppo B sono considerate “essenziali” poiché agiscono come coenzimi nella maggior parte dei processi metabolici che hanno come fine sia la sintetizzazione di nuove cellule sia la produzione di energia per l’intero organismo.

    SALI MINERALI: il magnesio è coinvolto in numerose reazioni cellulari, mentre il potassio, controllando frequenza cardiaca e pressione, protegge la salute cardiovascolare.  Il selenio sostiene le difese antiossidanti dell’organismo e infine il fosforo è importante per il benessere di ossa e denti e per la salute di reni, muscoli e cuore, nonché per il corretto funzionamento del metabolismo e per la trasmissione dell'impulso nervoso.

    Lo stoccafisso possiede un altissimo contenuto di iodio, che entra nella composizione degli ormoni tiroidei, fondamentali in vari processi fisiologici, come la crescita e il metabolismo (2).
    Il baccalà contiene tuttavia molto sodio e quindi un suo apporto eccessivo può essere pericoloso per la salute cardiovascolare.  Al tempo stesso, in soggetti patologici sofferenti di ipertiroidismo il consumo dello stoccafisso va tenuto sotto controllo.
    Sono infine entrambi da evitare in caso di intolleranza all’istamina.

    • OLE OF COD LIVER OIL IN PREVENTING MYOCARDIAL INFARCTION

    Madho Mal, Ashok Kumar, Areeba Meraj, Arooj Devi, Alyanna Marie B Mañego, Zauraiz Anjum, Sidra Naz, Amna Jamil, Aliya Fatima, Besham Kumar

    • EFFECTS OF TWO WEEKLY SERVINGS OF COD FOR 16 WEEKS IN PREGNANCY ON MATERNAL IODINE STATUS AND INFANT NEURODEVELOPMENT: MOMMY'S FOOD, A RANDOMIZED-CONTROLLED TRIAL

    Maria Wik Markhus, Mari Hysing, Lisa Kolden Midtbø, Ive Nerhus, Synnøve Næss, Inger Aakre, Ingrid Kvestad, Lisbeth Dahl, Marian Kjellevold

     

    Maddalena Pizzulo - nutrizionista

     

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