Ultimo acuto del grande intellettuale britannico Peter Burke, ‘Ignoranza. Una storia globale’, pubblicato da Raffaello Cortina Editore, nell’ambito della collana ‘Scienza e Idee’, fondata da Giulio Giorello, è un voluminoso compendio delle conoscenze in nostro possesso sull’ignoranza, realizzate nei più disparati settori dell’umano e sistematizzate solo negli ultimi decenni. Un lavoro certamente in grado di dare una spinta decisiva alla giovanissima e ancora malferma disciplina della storia dell’ignoranza, ma, soprattutto, in grado di offrire una base di partenza per tanti studiosi intenzionati a specializzarsi in questa branca del sapere. Un ambito più vasto di qualsiasi altro, come già ammoniva Francesco Petrarca, e, quindi, al centro di una sfida culturale stimolantissima. Più correttamente, si dovrebbe probabilmente definire una scommessa ‘biculturale’, per quanto il tema può essere fruttuosamente approfondito dalla prospettiva suggerita nel celebre saggio di Charles Percy Snow, non casualmente più volte citato nel libro. Una completa storia dell’ignoranza, al netto del paradosso insito nel tentativo, non può infatti non riguardare direttamente le connessioni profonde tra le due culture, naturalmente in un’accezione ormai ‘storicizzata’, che non può limitarsi al numero 2, come attesta l’accentuata interdisciplinarità della panoramica abbozzata da Burke. Il professore di Cambridge precisa anzi, nella prefazione, di non essere riuscito ad effettuare una ricognizione cronologica (secolo per secolo) della materia, che pure invoca per il prossimo futuro, ma di avere, in compenso, allargato l’indagine a numerosi settori della vita associata. E così, in un arco temporale incentrato prevalentemente sulla prima e sulla seconda Età Moderna, ma con frequenti scorribande in altre epoche, soprattutto nell’antichità classica, Burke ci fa incontrare i vari tipi di ignoranza (consapevole, inconsapevole, parziale, selettiva, intenzionale, individuale, collettiva, organizzativa e moltissimi altri) calati nelle varie branche del sapere e dell’agire umano ed inevitabilmente capaci di produrre ‘conseguenze’ sempre decisive, ma non omogenee tra loro. L’indagine è concentrata sull’Occidente, ma la mole della ricerca ha consentito all’autore frequenti incursioni anche nella storia africana ed asiatica, spesso occasione di approfondimento sulle notevoli lacune nella conoscenza reciproca tra questi mondi, soprattutto, ma non esclusivamente, nei secoli passati. Insomma, si fa presto a dire ignoranza e anche la facile etimologia latina non consente semplificazioni di sorta. D’altra parte, la storia del pensiero, da Socrate ad Agostino, da Cusano a Montaigne, si è incaricata più volte di aggettivare l’ignoranza in maniera ben più sofisticata, o, per lo meno, ‘aperta’. Di sicuro, non è possibile minimizzare lo sforzo culturale alla base di questo bel libro, scorrevole nella lettura, ma complesso nella valutazione. Non originalissimo, eppure addentrato in mondi ancora fascinosamente ignoti ai più. A tratti lapalissiano, ma mai banale, come il monito ad apprendere dalla conoscenza degli errori passati. L’ignoranza, comunque, non è solo il presupposto logico di tutte le conoscenze e le scoperte acquisite dall’umanità, ma, in certa misura, emerge come un motore a sé stante e come un paradossale paradigma culturale per intelletti raffinati. Solo con l’ignoranza, nella sua versione dotta, possiamo spingerci dove le più celebrate epistemologie non arrivano, scoprendo, tra l’altro, che la battaglia contro di essa è impossibile da vincere. A dimostrarlo, sembra suggerire Burke, è proprio il surplus di informazioni e conoscenze collettive dell’umanità attuale, inevitabilmente foriero di altrettanto vasti baratri di annunciata ignoranza. Per non parlare delle smisurate asimmetrie orizzontali e verticali nell’accrescimento culturale dei nostri giorni, illuminati da una sempre più considerevole 'conoscenza', figlia dei Big Data, ma trasfusa solo in minima parte nel bagaglio culturale individuale, anche nei casi migliori. Senza voler dimenticare la notevole cancellazione di cultura e culture preesistenti ovunque nel mondo. In fondo, scriveva brillantemente Mark Twain: ‘’siamo tutti ignoranti, solo riguardo a cose diverse’’.
Burke pessimista ontologico sul tema? Non proprio, se è vero che, citando il Premio Nobel 2004 per la Fisica David Gross, realizza che ‘’le domande che ci formuliamo oggi sono più profonde ed interessanti’’ che in passato perché ‘’allora non disponevamo di conoscenze sufficienti per essere ignoranti in modo intelligente’’ e, per fortuna, ‘’non c’è alcuna prova del fatto che stiamo esaurendo la nostra risorsa più importante: l’ignoranza’’.
Chapeau Mister Gross, e anche a Lei, Mister Burke!
Ettore Zecchino