Invito alla lettura

    Ignoranza

    Ultimo acuto del grande intellettuale britannico Peter Burke, ‘Ignoranza. Una storia globale’, pubblicato da Raffaello Cortina Editore, nell’ambito della collana ‘Scienza e Idee’, fondata da Giulio Giorello, è un voluminoso compendio delle conoscenze in nostro possesso sull’ignoranza, realizzate nei più disparati settori dell’umano e sistematizzate solo negli ultimi decenni. Un lavoro certamente in grado di dare una spinta decisiva alla giovanissima e ancora malferma disciplina della storia dell’ignoranza, ma, soprattutto, in grado di offrire una base di partenza per tanti studiosi intenzionati a specializzarsi in questa branca del sapere. Un ambito più vasto di qualsiasi altro, come già ammoniva Francesco Petrarca, e, quindi, al centro di una sfida culturale stimolantissima. Più correttamente, si dovrebbe probabilmente definire una scommessa ‘biculturale’, per quanto il tema può essere fruttuosamente approfondito dalla prospettiva suggerita nel celebre saggio di Charles Percy Snow, non casualmente più volte citato nel libro. Una completa storia dell’ignoranza, al netto del paradosso insito nel tentativo, non può infatti non riguardare direttamente le connessioni profonde tra le due culture, naturalmente in un’accezione ormai ‘storicizzata’, che non può limitarsi al numero 2, come attesta l’accentuata interdisciplinarità della panoramica abbozzata da Burke. Il professore di Cambridge precisa anzi, nella prefazione, di non essere riuscito ad effettuare una ricognizione cronologica (secolo per secolo) della materia, che pure invoca per il prossimo futuro, ma di avere, in compenso, allargato l’indagine a numerosi settori della vita associata. E così, in un arco temporale incentrato prevalentemente sulla prima e sulla seconda Età Moderna, ma con frequenti scorribande in altre epoche, soprattutto nell’antichità classica, Burke ci fa incontrare i vari tipi di ignoranza (consapevole, inconsapevole, parziale, selettiva, intenzionale, individuale, collettiva, organizzativa e moltissimi altri) calati nelle varie branche del sapere e dell’agire umano ed inevitabilmente capaci di produrre ‘conseguenze’ sempre decisive, ma non omogenee tra loro. L’indagine è concentrata sull’Occidente, ma la mole della ricerca ha consentito all’autore frequenti incursioni anche nella storia africana ed asiatica, spesso occasione di approfondimento sulle notevoli lacune nella conoscenza reciproca tra questi mondi, soprattutto, ma non esclusivamente, nei secoli passati. Insomma, si fa presto a dire ignoranza e anche la facile etimologia latina non consente semplificazioni di sorta. D’altra parte, la storia del pensiero, da Socrate ad Agostino, da Cusano a Montaigne, si è incaricata più volte di aggettivare l’ignoranza in maniera ben più sofisticata, o, per lo meno, ‘aperta’. Di sicuro, non è possibile minimizzare lo sforzo culturale alla base di questo bel libro, scorrevole nella lettura, ma complesso nella valutazione. Non originalissimo, eppure addentrato in mondi ancora fascinosamente ignoti ai più. A tratti lapalissiano, ma mai banale, come il monito ad apprendere dalla conoscenza degli errori passati. L’ignoranza, comunque, non è solo il presupposto logico di tutte le conoscenze e le scoperte acquisite dall’umanità, ma, in certa misura, emerge come un motore a sé stante e come un paradossale paradigma culturale per intelletti raffinati. Solo con l’ignoranza, nella sua versione dotta, possiamo spingerci dove le più celebrate epistemologie non arrivano, scoprendo, tra l’altro, che la battaglia contro di essa è impossibile da vincere. A dimostrarlo, sembra suggerire Burke, è proprio il surplus di informazioni e conoscenze collettive dell’umanità attuale, inevitabilmente foriero di altrettanto vasti baratri di annunciata ignoranza. Per non parlare delle smisurate asimmetrie orizzontali e verticali nell’accrescimento culturale dei nostri giorni, illuminati da una sempre più considerevole 'conoscenza', figlia dei Big Data, ma trasfusa solo in minima parte nel bagaglio culturale individuale, anche nei casi migliori. Senza voler dimenticare la notevole cancellazione di cultura e culture preesistenti ovunque nel mondo. In fondo, scriveva brillantemente Mark Twain: ‘’siamo tutti ignoranti, solo riguardo a cose diverse’’.
    Burke pessimista ontologico sul tema? Non proprio, se è vero che, citando il Premio Nobel 2004 per la Fisica David Gross, realizza che ‘’le domande che ci formuliamo oggi sono più profonde ed interessanti’’ che in passato perché ‘’allora non disponevamo di conoscenze sufficienti per essere ignoranti in modo intelligente’’ e, per fortuna, ‘’non c’è alcuna prova del fatto che stiamo esaurendo la nostra risorsa più importante: l’ignoranza’’.
    Chapeau Mister Gross, e anche a Lei, Mister Burke!

     

    Ettore Zecchino

     
    ''Zitto e calcola!''

    Ispirato, sin nel titolo, al celebre motto del fisico americano David Mermin, “Zitto e calcola!” (editore Eurilink University Press) è il condensato e insieme lo sviluppo di un corso introduttivo alla meccanica quantistica svolto un paio di anni fa a Biogem dal professore Antonio Ereditato. Nella versione scritta il fisico napoletano non perde mai il suo straordinario smalto divulgativo, anche se, la molto minore interattività del percorso suggerito e l’obbligo di una sintesi stringente, rendono l’opera adatta a ‘studenti’ principianti e curiosi, ma ancora più volenterosi di quelli presenti nell’Aula Magna ‘Emanuele’ dell’Istituto arianese.
    Ereditato parte citando il Premio Nobel Richard Feynman, con il suo proverbiale scetticismo sulla capacità umana di comprensione della meccanica quantistica, ma, più che per ‘mettere le mani avanti’, lo fa per comunicare da subito al lettore lo stupore che una simile rivoluzione scientifica suscita continuamente in un fisico di lungo corso come lui. Ecco quindi emergere una prima, simpatica contraddizione tra lo scienziato che nega alla meraviglia lo status di fine della ricerca, riservato ai poeti, secondo la celebre e richiamata citazione di Giambattista Marino, e il suo malcelato approccio di 'rapito stupore' per un tema di indicibile fascino. Si tratta, comunque, di un’occasionale debolezza, riscattata da una disamina, scrupolosa fino al puntiglio, degli ‘elementi di una nuova scienza’, spiegati con molti concetti, ma con pochissima filosofia, e con l’indispensabile ricorso al minimo sindacale di formule matematiche. L’incedere, ed ecco una solo apparente seconda contraddizione, è invece, compiutamente storicistico. Uno dei valori aggiunti del libro, calcoli a parte, è infatti la capacità del professore Ereditato di collocare storicamente la meccanica quantistica, a valle di due precedenti e ancora valide rivoluzioni scientifiche, quella galileiana-newtoniana-maxwelliana e quella einsteiniana. Magistrale appare, inoltre, la capacità di far comprendere al lettore-alunno i punti di contatto tra il vecchio e il nuovo e, soprattutto, le pieghe e gli interstizi nei quali si è inserita in maniera travolgente la nuova fisica dei quanti. Una teoria che Ereditato immediatamente promuove come l’unica in grado di spiegare il mondo sub-atomico, sempre più alla base della fisica nell’ultimo secolo. A questo dato concettuale il professore arriva attraverso una puntuale ricostruzione storica del fenomeno, utilissima al profano per mettere ordine in una materia spesso solo ‘masticata’. L’opera diventa quindi una cavalcata lungo alcuni decenni, cruciali per la fisica, dai primi, incerti pronunciamenti del ‘fondatore’ Max Planck, conservatore e timorato di Dio, quasi frenato nel suo percorso e spaventato dalle sue stesse intuizioni, all’accettazione parziale di un ammirato, ma altrettanto terrorizzato Albert Einstein. Lo scienziato simbolo del Novecento morirà convinto erroneamente di aver arginato gli sviluppi più ‘estremi’ della teoria dei quanti, ma la palma della vittoria toccherà a Niels Bohr, suo interlocutore-rivale e capostipite della mitica scuola di Copenaghen, fucina dei più grandi fisici quantistici del mondo.
    In generale, quest’ultimo lavoro del professore Ereditato dà il meglio di sé quando riesce ad abbracciare, in pagine memorabili, l’incedere storico della nuova scienza, nel passaggio dalla vecchia teoria dei quanti alla vera e propria meccanica quantistica, offrendo una panoramica, a volo d'uccello, della scienza dell’atomo, con tutto il suo fascino moderno. Chi l’ha detto, sembra sfidarci Ereditato, che quello in corso è il secolo della biologia? Geni, molecole o enzimi si potranno studiare al meglio solo grazie alla meccanica quantistica. Ed ecco che il secolo della biologia non può che diventare il periodo di nascita e sviluppo della biologia informatico-quantistica. O almeno, questo può pensare un lettore, non calcolatore, ma comunque appassionato.
    Un libro, quindi, meraviglioso nel senso etimologico del termine, nonostante i timori di una perdita di controllo da parte del suo autore, tutt’altro che ‘freddo calcolatore’, come imporrebbe il titolo. Al contrario, il professore Ereditato non raramente abbandona i panni dello scienziato ‘asettico’ e si lascia andare a considerazioni sociologiche, come lo stupore consegnato al lettore per l’asimmetria tra la ‘meravigliosa’ comunità scientifica dei primi decenni del Novecento e la malata società civile contemporanea, incubatrice di tirannie, totalitarismi, razzismi ed immani tragedie belliche. Un approccio che appare un po' ingenuamente fazioso, se consideriamo, a tacer d’altro, l’attivismo di molti scienziati di fama nella stagione nucleare (e un film favorito per gli Oscar 2024 ne dà ampiamente conto). Siamo quindi al cospetto della magnifica utopia di uno scienziato, innamorato della sua materia di studio e dei suoi protagonisti-eroi.
    A questo proposito, verrebbe da chiedere al professore Ereditato se le meraviglie dell’infinitamente piccolo mondo subatomico siano state in grado di eguagliare, nel suo cuore, i palpiti emotivi procuratigli dalle immensità del cosmo, studiate per gran parte della carriera. A noi sembra proprio di sì, e, per questo, ci spingiamo a chiedergli un bis, magari per comprendere fino in fondo il contributo della meccanica quantistica alla straordinaria rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo e, perché no, per proiettarci verso quell’intelligenza artificiale che è già tra noi, ma, probabilmente, ancora ad uno stadio fetale della sua evoluzione.

     

    Ettore Zecchino

    Le impronte del signor Neanderthal

    La morte di tanti ammalati di COVID-19 ha direttamente a che fare con un particolare ‘salto di specie’, avvenuto circa 50mila anni fa, quando la preistoria registrò la prima unione di noi Sapiens con i Neanderthal. Da quel momento, infatti, tra le caratteristiche del nostro DNA è emersa la predisposizione a sviluppare una forma grave di malattia da coronavirus. E, considerando la permanente presenza di geni neandertaliani dall’1% fino ad oltre il 3% dei patrimoni genetici di noi euroasiatici degli anni Duemila, si spiega una certa nostra vulnerabilità al COVID 19, per motivi ‘simmetrici’ molto meno registrata nelle popolazioni africane.
    La recente scoperta è alla base di ‘Le impronte di Neanderthal. Come la scienza ricostruisce il passato e disegna il futuro’, del professore Giuseppe Remuzzi (editore Solferino), che, da bergamasco doc, deve essere rimasto particolarmente colpito da questo studio, fino ad elevarlo a titolo di una delle sue ultime opere di alta divulgazione scientifica. Certo – precisa più volte Remuzzi - l’eredità di questo incontro è molto più complessa e articolata e include vantaggi e svantaggi, più o meno compensati e di gran lunga più importanti della sola vicenda virale, ma, in questo caso, il richiamo all’attualità è particolarmente forte. Tale antico rapporto può essere stato occasionato da puro istinto ferino o da curiosità compiutamente ed ‘evolutamente’ umana, ma, in ogni caso, per Remuzzi, ha avuto a che fare con la genetica. Proprio il DNA può dirsi, infatti, il vero protagonista del libro, capace, come dimostra l’autore, di traghettare la vita verso sentieri talvolta impervi o apparentemente impenetrabili, ma sempre razionali.
    L’opera, scritta in piena pandemia, ha il coraggio di non prescindere dal COVID-19, destinatario di pagine che si apprezzano ancora di più oggi per lucidità e lungimiranza, ma mai se ne fa schiacciare, portando il lettore non specializzato su e giù tra le varie primizie della ricerca, non solo genetica, offrendo spiegazioni e risposte alle curiosità più varie, da quelle strettamente cliniche, a quelle sociali e storiche. Si parla, ad esempio, di geni o meccanismi neuronali che predispongono all’aggressività, all’onestà, alla curiosità, alla creatività, all’intelligenza, alla socievolezza, naturalmente all’amore. Ma anche della sorprendente forza del sesso debole o dell’universale capacità umana di riconoscere ‘fisiognomicamente’ un ricco, fino all’antico dibattito tra predeterminazione e libero arbitrio. Il tutto, partendo da un’analisi sulle origini della vita e sulla sua eventuale riproducibilità, tema dei temi per le scienze biologiche.
    L’approccio non è mai deterministico, e infatti, a ben vedere, sembra portare a un trionfo dell’epigenetica, branca della scienza sempre più in auge, fondata sull’analisi dell’interazione tra geni e ambiente. Un collegamento considerato ormai cruciale e che rafforza la missione dello scienziato-divulgatore Remuzzi, laicamente in fertile dialogo con il Papa Francesco dell’Enciclica ‘Laudato sì’, citatissima nel libro e, per certi versi, considerata quasi alla stregua di una via comune da seguire. Con ‘Le impronte di Neanderthal’, d’altra parte, il professore Remuzzi, apparentemente immerso nella stringente attualità delle ricerche più innovative e proiettato, gioco forza, verso il futuro prossimo delle loro applicazioni, non rinuncia, in realtà, a mostrarci come la scienza sia in grado di ricostruire il passato. E lo fa anche in senso strettamente storico, spiegandoci che le scienze naturali offrono costantemente all’archeologia e all’antropologia nuove, formidabili, lenti per osservare vicende altrimenti immerse nel buio. Statuendo, ad esempio, l’inesistenza di un’etnia celtica. O spiegando che è stato l’uomo cacciatore a ‘rimpicciolire i grandi mammiferi’.
    La testardaggine dei numeri, talvolta foriera di non buone prospettive in vari campi della vita umana, a partire dalle implacabili proiezioni sul riscaldamento globale e sugli squilibri demografici in corso, non fa tuttavia perdere al professore Remuzzi l’ottimismo tipico dello scienziato, nonostante il bellissimo brano citato di un Galileo deluso dalla sconfitta del ‘fondato ragionamento’, a vantaggio delle ‘inveterate posizioni’.

    L’umanità, sembra proporre l’autore, deve sempre più aprirsi alla scienza e alle opportunità e conoscenze che essa sa offrire, in modo da scongiurare, o almeno temperare i suoi stessi, non pochi ‘effetti collaterali’, pur sempre in agguato. E deve farlo in un’ottica leopardiana rovesciata, aiutando la Natura (sive DNA?) a perpetuare nel miglior modo possibile la nostra specie. L’immortalità, ma anche il compassionevole surrogato di una super-longevità di noi singoli uomini, è infatti incompatibile con le leggi della genetica che, imperiose, ci governano da sempre.

     

    Ettore Zecchino

    Neuroethics and cultural diversity

    Frutto di un lavoro di circa tre anni, 'Neuroethics and cultural diversity' (Neuroetica e diversità culturale) è un volume curato dal responsabile dell’area di Bioetica di Biogem Michele Farisco (editore Wiley-ISTE), scritto in lingua inglese, già disponibile nel formato e-book e, in pre-ordine, in quello cartaceo. Realizzata con il coinvolgimento di 20 autori, tra cui alcuni ‘padri fondatori’ della neuroetica, provenienti da tutti i continenti, l’opera si concentra sul rapporto tra riflessione neuroetica e diversità culturale, tema centrale nel dibattito internazionale. Il libro è, al tempo stesso, una riflessione generale sulla neuroetica, una disciplina ancora giovane, incentrata sugli aspetti etici delle neuroscienze, sia in riferimento alle crescenti conoscenze dei meccanismi cerebrali alla base delle nostre attività cognitive (incluse le scelte morali), sia in riferimento alle nuove tecnologie e applicazioni, terapeutiche e non terapeutiche, emergenti da tali conoscenze.

    ‘’La cultura – spiega Michele Farisco - è tra i fattori più importanti che stanno plasmando l’ancora ‘giovane’ neuroetica (ma il discorso vale anche per l’etica della scienza in generale), sia come disciplina scientifica sia come attività sociale”. ‘’Il tempo è tuttavia maturo” - scommette Farisco - “affinché la neuroetica vada oltre l’influenza di contesti culturalmente molto circoscritti, come quelli dell’Europa occidentale e del Nord America, nei quali si è originata”.

    Questo libro dimostra che culture diverse possono convergere nell’identificazione delle questioni principali sollevate dalle neuroscienze e dalle connesse tecnologie. I 17 capitoli che compongono l’antologia dimostrano, in particolare, che è possibile raggiungere un consenso sui problemi principali da affrontare, punto di partenza fondamentale per avanzare nella direzione di soluzioni condivise, convertibili in processi di deliberazione democratica.

    Nel dettaglio, la prima parte del testo, comprendente sei capitoli, è dedicata alla neuroetica come campo disciplinare. Kathinka Evers, che ha introdotto la cosiddetta “neuroetica fondamentale” più di 15 anni fa, sottolinea, ad esempio, la necessità di andare oltre la dicotomia classica tra “etica delle neuroscienze” e “neuroscienze dell’etica”. Si impone, quindi, la necessità di un’analisi dei concetti fondamentali “sfidati” dalle neuroscienze, come coscienza e libero arbitrio, nell’ambito di una ricerca fondata su una metodologia interdisciplinare.

    Nella seconda parte, strutturata in cinque capitoli, si analizzano le influenze culturali sulla neuroetica. Tra gli altri, la cinese Jie Yin offre un’analisi dell’etica del neo-Confucianesimo, soffermandosi sulla questione del “potenziamento morale”, ossia il tentativo di migliorare il comportamento morale attraverso strumenti farmacologici o tecnologici. A partire da questo tema specifico, l’autrice sostiene che la filosofia cinese può offrire importanti contributi al dibattito contemporaneo sull’etica applicata.

    La terza e ultima parte, consistente in sei capitoli, offre l’analisi di alcuni casi specifici. A titolo illustrativo, la statunitense Syd Johnson sviluppa un’approfondita riflessione sullo specismo antropocentrico e sull’eccezionalismo umano che, secondo lei, hanno segnato la riflessione neuroetica. Secondo l’autrice, in particolare, questa tendenza a ritenere l’uomo eticamente superiore rispetto agli altri esseri viventi va superata riservando adeguata attenzione alla questione della giustizia nella ricerca scientifica.

    Secondo il responsabile dell’area di Bioetica di Biogem, che non nega le grandi difficoltà incontrate lungo il percorso, ‘’al di là dei contenuti, pur eccellenti, sviluppati nel libro, la collaborazione di tante e tanto importanti voci del dibattito internazionale è di per sé un successo e, al tempo stesso, costituisce la premessa di ulteriori progressi verso una visione più condivisa dell’etica della scienza, troppo spesso segnata da pregiudizi culturali e visioni miopi”.

    M. Farisco (ed.), Neuroethics and cultural diversity, ISTE-Wiley, London 2023

     

    Indice dell’opera

     

    Preface

    Michele FARISCO

     

    Part 1: Neuroethics as a Field

    Chapter 1: Examining the Ethics of Neuroscience in Contemporary Neuroethics

    Cynthia FORLINI

    Chapter 2: Neuroscience of Ethics

    Georg NORTHOFF

    Chapter 3: Fundamental Neuroethics

    Kathinka EVERS

    Chapter 4: Diversity in Neuroethics: Which Diversity and Why it Matters?

    Eric RACINE and Abdou Simon SENGHOR

    Chapter 5: Neurofeminism in BCI and BBI Ethics as a Prelude to Political Neuroethics

    Mai IBRAHIM and Veljko DUBLJEVIC

    Chapter 6: Neuroethics as an Anthropological Project

    Fabrice JOTTERAND

     

    Part 2: Cultural Influences on Neuroethics

    Chapter 7: Neuroethics and Culture

    Arleen SALLES

    Chapter 8: Globalization of Neuroethics: Rethinking the Brain and Mind "Global Market"

    Karen HERRERA-FERRÁ

    Chapter 9: The Dilemma of Cross-Cultural Neuroethics

    Laura SPECKER SULLIVAN and Karen S ROMMELFANGER

    Chapter 10: Neuroethics in Religion and Science: Hume's Law and Bodily Value

    Denis LARRIVEE

    Chapter 11: How Would Neo-Confucians Value Moral Neuroenhancement?

    Jie YIN

     

    Part 3: Illustrative Cases

    Chapter 12: How Do Arabic Cultural and Ethical Perspectives Engage with New Neuro-technologies? A Scoping Review

    Amal MATAR

    Chapter 13: The Binary Illusion

    Karin GRASENICK

    Chapter 14: What's Next? The Chilean Neuroprotection Initiative, in Light of the Historical Dynamics of Human Rights

    Manuel GUERRERO

    Chapter 15: Interrogating the Culture of Human Exceptionalism: Animal Research and the Neuroethics of Animal Minds and Brains

    L Syd M JOHNSON

    Chapter 16: Cultural Neuroethics in Practice – Human Rights Law and Brain Death

    Jennifer A CHANDLER

    Chapter 17: Neuroscientific Research, Neurotechnologies and Minors: Ethical Aspects

    Laura PALAZZANI

     

    Conclusion

    Michele FARISCO

     

     

    Ettore Zecchino

    Vico dei miracoli

    Straordinario romanzo popolare su un sommo napoletano, ‘Vico dei miracoli. Vita oscura e tormentata del più grande pensatore italiano’ (editore Rizzoli), è un autentico atto d’amore di Marcello Veneziani per un filosofo a lui familiare in tutti i sensi. Introdotto al mondo fantastico del Vico dal padre Giovanni, il prolifico intellettuale pugliese ha infatti rinviato per lustri l’appuntamento ‘fatale’, per poi ‘risolverlo’ in pochi e intensissimi mesi di lavoro immersivo. Il risultato è un capolavoro assoluto di alta divulgazione storica, anzi vichianamente, scientifica, a parer di chi scrive tra i più interessanti degli ultimi tempi. Un’operazione culturale senza dubbio di grande efficacia, almeno a giudicare dal successo in libreria, sulla scia e nel solco della carsica e a tratti alluvionale rivalutazione di un pensatore da molto tempo ‘riscoperto’ in ambito accademico, ma forse ancora in una sorta di limbo al livello del grande pubblico istruito. Se per Veneziani, infatti, Giambattista Vico è stato indubbiamente il più grande pensatore italiano, molti programmi scolastici continuano ostinatamente a riservargli le briciole, in una provinciale sottovalutazione della genialità italica. Paradosso assoluto se consideriamo l’importanza fondamentale della sua concezione della storia, indubbiamente ispiratrice originaria proprio di quella Riforma Gentile, che, intellettualmente parlando, si dovrebbe appellare Croce-Gentile, base e fondamento del nostro sistema di istruzione, eminentemente liceale. E così, i giovani italiani, pur studiando ogni disciplina, anche non umanistica, da un punto di vista prevalentemente storico, ignorano spesso l’ispiratore più lontano, ma più ‘potente’ di questo indirizzo. Un destino, quello delle rivalutazioni postume, al quale il Nostro era abituato, come nelle pagine a volte commoventi di questo bellissimo libro chiaramente traspare. Il destino di un uomo straordinario, vissuto nel secolo d’oro di una città straordinaria, della quale è sicuramente emblema assoluto, ma dalla quale ha ostentatamente preso le distanze, ricambiato con gli interessi. Un intellettuale vissuto nel ventre di Napoli, in rapporto simbiotico con la sua millenaria cultura e con la sua brulicante umanità, che, in un secolo di esterofilie e francesismi ostentati, quale fu il Settecento napoletano, ha orientato i suoi studi e la sua speculazione filosofica sulla tradizione italica e mediterranea. Un pensatore che, in un’epoca di lumi atei, ha acceso i riflettori sulla nostra tradizione religiosa. Un italiano che, in una fase di esaltazione permanente delle scienze matematiche, dichiara lo studio scientifico della storia l’unico metodo per arrivare ad una conoscenza piena di qualcosa, attraverso gli strumenti della filosofia e della filologia. Una storia, quindi, non ‘semplice’ maestra di vita, ma scienza nuova, unica in grado di ammaestrare l’uomo sul senso della sua esistenza, portandolo a scoprire il vero in quanto coincidente con il fatto, ben oltre le astrazioni della matematica e-o i parziali, pur importanti progressi delle scienze fisiche. La vera conoscenza, secondo la celebre argomentazione vichiana è solo quella di chi ha creato. Sulla natura, quindi, unico depositario della verità piena è Dio, mentre la storia, guidata dalla Provvidenza, ma concretamente realizzata dagli uomini, può disvelarci le sue regole generali. Continuando su questa china tradiremmo, tuttavia, lo spirito autentico dell’opera di Veneziani, che, pur non tralasciando quasi niente delle più note teorie vichiane, ha il suo pregio principale nel riuscire sempre a collegare queste al suo autore, descritto nella sua umanità più plausibile eppure più splendidamente romanzata. Ma è anche quello di investigare efficacemente sul mistero del talento. Di più, sull’enigma di un talento originalissimo, quello di Giovambattista Vico, prodigio di sconfinata erudizione, ma miracolosamente isolato nel chiasso familiare e cittadino intorno a lui.

     

    Ettore Zecchino

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