I protagonisti delle due culture

    Aldo Schiavone

    Aldo Schiavone

    Professore ordinario di Diritto Romano nelle Università di Bari, Firenze, e alla ‘Scuola Normale Superiore', dal dicembre 2016 Aldo Schiavone è docente a contratto presso l'Università di Roma, 'La Sapienza', per la direzione del progetto europeo ERC ‘Advanced Grant Scriptores iuris Romani’. Insignito, nel 2005, della ‘Medaglia d'oro del Presidente della Repubblica’ Carlo Azeglio Ciampi, conferita ai benemeriti della scuola, della cultura, della scienza e dell'arte, dal 2007 è Membro Onorario dell'American Academy of Arts and Sciences.

    Storico del diritto tra i più letti e apprezzati anche all’estero, recentemente Aldo Schiavone ha scritto libri di grande impatto per un pubblico ‘generalista’, come quelli con protagonisti Spartaco e Ponzio Pilato, presto diventati dei piccoli best-seller internazionali.

    Professore, le ‘Due Culture’ del 2023 avranno come tema principale il mondo verde e la salute green del pianeta, con le grandi inquietudini connesse. Quale contributo serio può arrivare dal mondo umanistico?

    La rivoluzione tecnologica in atto ci fa capire che sempre maggiori risorse planetarie dovranno appartenere al ‘comune umano’. Un concetto che possiamo riferire soprattutto al contesto ambientale, per il quale abbiamo ancora bisogno di elaborare un quadro di categorie – etiche, giuridiche, politiche – adeguate. A questo importante compito sono chiamati tutti gli studiosi di scienze umane, a qualunque disciplina essi appartengano.

    Uno storico deve occuparsi anche di futuro?

    Credo sempre di più. Non nel vecchio senso della ‘storia maestra di vita’, ma perché la conoscenza del passato ci consente di individuare degli elementi di prevedibilità nel futuro, grazie alle intrinseche regolarità che si possono rintracciare in ogni processo storico.  Oggi noi siamo  immersi nella più importante rivoluzione tecnologica della nostra storia: e, per esempio, il confronto con la rivoluzione industriale di più di due secoli fa ci consente, pur tra tante differenze, di individuare alcuni elementi che tendono a ripetersi, utili alla comprensione del nostro presente.

    Che cosa significa oggi assumere un atteggiamento green?

    Il progresso tecnologico rende sempre più l’insieme dell’ecosistema non un presupposto immodificabile delle nostre vite, bensì un risultato delle nostre azioni. Assumere un atteggiamento di protezione e di valorizzazione della fascia di natura ‘umanizzata’ che ci circonda è quindi per tutti noi una scelta cui non si può sfuggire.

     

    Il dibattito scientifico in corso non ci consente di accertare al di là di ogni ragionevole dubbio la diretta origine antropica dei grandi cambiamenti climatici sotto gli occhi di tutti. Un umanista può almeno invitare alla prudenza?

    Deve certamente farlo. L’aumento di potenza dell’umano rende le nostre responsabilità sempre maggiori e meglio definite. Se non sapremo orientare al bene comune il nostro potere ci troveremo di fronte a pericoli enormi.

    Quale peso reale ha il mondo umanistico nel ‘governo’ mondiale del verde?

    Credo molto poco, almeno per ora. Le scelte di cui stiamo parlando coinvolgono, in larga misura, una rete di poteri tecno-economici sovra-nazionale, non adeguatamente fronteggiata dalla politica e dalla democrazia, che restano per lo più chiuse in una dimensione solo nazionale.  E questo dislivello di scale è un grande problema irrisolto della globalizzazione.

     

    E la politica, allora?

    Il nostro obiettivo dovrà essere quello di riequilibrare questa ‘governance’ tecno-capitalistica mondiale con quella della politica democratica, da costruire oltre la cornice degli Stati, che non hanno da soli, singolarmente presi  (tranne forse, per alcuni aspetti, gli Stati Uniti) la forza per contrastare  il potere del sistema tecno-capitalistico che sta dettando oggi la forma del mondo.

     

    I diritti del mondo verde come sono tutelati da un punto di vista strettamente giuridico?

    Si tratta di forme di tutela nascenti, per quanto possa saperne. Ancora una volta si palesa  l’inadeguatezza di risposte prevalentemente nazionali (e quindi locali), nonostante la crescente esigenza di un diritto globale che non riguardi solo i mercati, ma anche l’ambiente, il lavoro, la fiscalità, la cittadinanza.
     

    Come mai in Italia i movimenti ambientalisti sono stati esclusivamente di sinistra e sempre estremamente minoritari?

    La connessione generale di questi movimenti con le politiche di sinistra mi sembra un dato riscontrabile un po’ ovunque nel mondo. Quello che invece sorprende è il carattere fortemente minoritario di questi movimenti in Italia, che non accenna peraltro a mutare.
    Tra le cause di questa singolarità, indicherei per un verso l’esistenza di un deficit culturale nella nostra sensibilità collettiva, rispetto a quella di altri Paesi. Basta pensare, per esempio, a fenomeni come l’abusivismo edilizio: una parola che nemmeno esiste in altre lingue.
    In secondo luogo, pesa, io credo, il carattere fondamentalmente antimoderno e antitecnologico di questi movimenti, che confondono la tutela della natura con il rifiuto tout court della tecnica e dell’innovazione e troppo spesso sanno dire solo dei no.

    Può la sensibilità ambientalista spiegare da sola le ragioni dell’appartenenza a un partito?

    Forse sì, in un momento come questo, soprattutto in Occidente. Anche se, in una prospettiva più generale, troverei auspicabile che le tematiche ambientali fossero assorbite in modo adeguato nelle piattaforme programmatiche e nel background culturale dei nuovi partiti della sinistra, a cominciare dall’Italia.

    Venendo ai suoi studi ultimi, tra le cause della ‘decadenza’ italiana inserisce anche i temi ambientali?

    L’incuria per il nostro territorio, tanto bello quanto delicato e fragile, è certamente una delle cause oggettive, forse tra le più sottovalutate, del declino italiano. Un progetto di rinascita del Paese non potrebbe certo prescindere da questo tema.

    In senso lato il cambiamento climatico e le questioni ambientali non hanno inciso sulla fine dell’Impero Romano e della civiltà classica, oggetto frequente dei suoi approfondimenti storico-letterari?

    Direi proprio di no. Dobbiamo essere molto attenti a non proiettare nel passato problematiche che appartengono solo al nostro tempo.  Certo, la geografia ha sempre condizionato e tal volta determinato la forma dei processi storici, ma questo non vuol dire immaginare contiguità inesistenti tra passato e presente.

    Il Cristianesimo può assorbire all’interno del suo sistema culturale e valoriale una generalizzata e accresciuta sensibilità green?

    Un Cristianesimo moderno potrebbe certamente farlo, credo, anche sulla scia di alcune grandi tradizioni del suo passato. L’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco mi sembra un bell’esempio in questa direzione.

    Al concetto generico di religione si è sempre legato un rispetto per la natura?

    Direi di no. Bisogna sempre evitare eccessive generalizzazioni.

    Il mondo dell’economia è in grado di riconvertirsi in tempi utili, favorendo l’emersione di nuove politiche energetiche a impatto limitato sull’ambiente?

    Lo potrebbe essere, ma solo se adeguatamente spronato da una politica all’altezza dei tempi. Torniamo così al discorso precedente, e alla necessità di affrancare lo stesso mondo dell’economia dal dominio incontrastato di una governance tecno-capitalista globale, capace di agire solo sulla spinta della massimizzazione dei profitti.

    Le piante sono intelligenti?

    Preferirei riservare la parola ‘intelligenza’ alla specie umana: non per marcare un primato, ma per segnare una differenza.  Il vivente non umano ha senza dubbio delle forme di adattabilità e plasticità rispetto al mondo esterno, che variano da specie a specie, e che riguardano, credo, anche quello che chiamiamo in modo approssimativo il mondo vegetale.

    Storicamente l’agricoltura ha maggiormente danneggiato o migliorato l’ambiente?

    Fino alla metà circa del secolo scorso, l’impatto delle coltivazioni sull’insieme dell’ecosistema è stato minimo. Le trasformazioni tecnologiche dell’ultimo secolo hanno cambiato molte cose, purtroppo non sempre in meglio. Non dobbiamo tuttavia mai dimenticare che le attuali tecniche agricole consentono la sopravvivenza di circa 8 miliardi di persone nel mondo; e, se adottassimo forme più razionali ed eque di distribuzione, e sprecassimo di meno, si potrebbe fare ancora molto meglio. Mentre soltanto pochi secoli fa l’agricoltura spesso non riusciva a sfamare neppure solo qualche centinaio di milioni di donne e di uomini.  Attenzione, quindi, prima di mettere sempre sotto accusa il progresso tecnologico.

    Dopo Spartaco e Ponzio Pilato quale altro grande ‘paradigma’ umano ha messo nel mirino delle sue  ricerche?

    Sto completando questa piccola serie con la figura di una donna,  Cleopatra. Una specie di trittico che comprende personaggi molto diversi tra loro, ma  che sono appartenuti più o meno alla stessa epoca – quella fra gli anni centrali del primo secolo a.C. e i primi decenni del primo secolo d.C.: un’età cruciale per il destino dell’Occidente e dunque dell’intero pianeta.


    Ettore Zecchino

     


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