I protagonisti delle due culture

    Nazzareno Carusi

    Nazzareno Carusi

    Pianista classico, già giovanissimo Professore ordinario di 'Musica da camera' a Bari, Trieste e Udine, oggi insegna ad Adria ed è titolare della stessa materia, 'per chiara fama', presso la Accademia Pianistica Internazionale di Imola. Invitato a suonare per prestigiose istituzioni musicali, non solo nazionali (Teatro alla Scala, San Carlo, Fenice, Maggio Musicale Fiorentino, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Wigmore Hall, Brahms Gesellschaft, Carnegie Hall), dal 2018, a causa di una frattura vertebrale, ha interrotto la carriera concertistica.

    Consigliere di amministrazione del Teatro alla Scala di Milano, Vice-Presidente, a Firenze, della Fondazione Orchestra Regionale Toscana, è al vertice di diverse istituzioni musicali italiane. Nativo di Celano, Ravennate di adozione, Nazzareno Carusi è ‘Ambasciatore d’Abruzzo nel Mondo’.

    Intellettuale poliedrico, ha collaborato con testate giornalistiche e canali televisivi nazionali. Ha partecipato da protagonista a numerose edizioni delle ‘Due Culture’, donando a Biogem un bellissimo pianoforte Petrof da concerto, e, soprattutto, la sua costante e preziosa amicizia.

    Maestro o professore?

    Se devo stare all’affetto, direi ‘professore’, perché anche mio padre, a Celano, era chiamato così. Se devo stare al titolo che solitamente si dà ai musicisti classici, allora dovrebbe essere ‘maestro’.

    Come e quando è nato il suo meraviglioso rapporto con Biogem?

    Nel 2016, quando tenni il concerto inaugurale delle ‘Due Culture’. Fu amore a prima vista del luogo, delle attività, delle persone.

    Pensa di incrementarlo in futuro?

    Certamente sì, ma la comunità di Biogem detiene già oggi una quota importante nel pur ampio mondo dei miei affetti.

    Quale apporto può dare l’arte, e in particolare la musica, nella lotta alla pandemia in corso?

    La musica è sempre messaggera di speranza ed è in grado di ‘accendere’ la vita, illuminando i momenti bui e offrendo orizzonti nuovi. I suoni che produce possono essere assimilati a ‘carezze’ per l’anima.

    Quanto ha pagato finora il settore?

    Lo Spettacolo, in genere, è stato tra i settori più colpiti, anche da un punto di vista strettamente materiale. Non sono certo il primo a ricordare i problemi di ‘sopravvivenza’ affrontati da tanti artisti, improvvisamente messi di fronte a una forzata e prolungata paralisi delle loro attività lavorative. Senza considerare poi, per gli artisti, come per tutti, la sofferenza sul fronte psicologico, per l’azzeramento della vita sociale. Anzi, l’intera società ha dovuto fare a meno della risaputa funzione catartica dell’arte, almeno di quella espressa nelle forme ‘sociali’ classiche. E tutto ciò, se posso dirlo, sa anche un po’ di beffa, se consideriamo che, dati alla mano, il mondo dello Spettacolo è stato fra quelli che maggiormente si sono distinti per disciplina di comportamenti sanitari. Da quando sono stati gradualmente riaperti, i teatri si sono infatti sempre rivelati tra i luoghi in assoluto più sicuri.

    Quando è stato rapito dalla musica?

    Mia madre mi racconta che quando ero in fasce già saltavo di gioia al ritmo delle sue ‘inefficaci’ ninnenanne.

    A quali maestri deve di più?

    Per la musica, senz’altro ad Alexis Weissenberg, Adriano Vendramelli e Lucia Passaglia. In ambito più generale, a mio padre e a mia madre. Un esempio da seguire oggi è per me Gianni Letta, soprattutto per il suo profondo rispetto delle istituzioni e per il suo alto senso dello Stato.

    Gianni Letta, che di lei dice pubblicamente mirabilia, come molti altri, da Riccardo Muti a Mogol e al ministro della Cultura, Dario Franceschini. Quali sono stati gli altri incontri fondamentali della sua vita culturale?

    Da ragazzo ricordo quelli con Ugo Maria Palanza e Vittoriano Esposito, grandi letterati della mia terra. Da studente, a Firenze, fu importante la figura del domenicano padre Innocenzo Colosio. A Mosca è stato fondamentale l’incontro con Viktor Merzhanov. Come, a New York, quello con Isaac Stern, pur durato un solo giorno. Successivamente, da uomo maturo, è stata la volta, altrettanto sconvolgente, di Paolo Isotta, che a Biogem era di casa almeno quanto me.

    Personalità enormi di ambito non solo musicale. In cosa si differenzia la creatività di un musicista da quella di altri artisti?

    Semplicemente nel linguaggio usato.

    Ascoltare buona musica aiuta il nostro sviluppo cerebrale?

    Gli scienziati, in larga parte, dicono di sì, e, per quel che conta, ne sono assolutamente convinto.

    Come considera la musica che chiamiamo classica in rapporto a quella di oggi?

    Lo sviluppo artistico è un discorso fisiologico e, nel corso delle evoluzioni che tale sviluppo comporta, sono inevitabili gli ‘alti e i bassi’. Anche oggi, comunque, sono molti gli esempi di musica classica, o forte, come a ragione propone di chiamarla Quirino Principe, di altissimo livello. Basti pensare, per fermarci a un esempio recente, allo Julius Caesar di Giorgio Battistelli, appena commissionato e rappresentato dall’ ’Opera’ di Roma. Poi, guardando al pop, credo che la patente di grande artista si possa assegnare a diversi musicisti, ad ogni latitudine. Mi vengono subito in mente, ma sono due fra i tanti, Freddie Mercury e Lucio Dalla.

    Citando il suo e nostro grande amico Paolo Isotta, ci indica i suoi ‘sommi’ tra i compositori di ogni epoca e genere?

    Il gioco delle classifiche è stata una delle cose che a un certo punto hanno reso il mio sguardo sul mondo diverso da quello di Paolo.

    Quali musicisti ha eseguito maggiormente nella sua carriera?

    Domenico Scarlatti e Franz Liszt.

    Come vive questa seconda parte della carriera, lontano dal palco?

    Sentendomi comunque fortunato, perché, rispetto a una casualità che avrebbe potuto colpirmi molto più duramente nell’intimo, il buon Dio mi ha regalato una strada nuova e capace di schiudermi angoli del mondo inaspettati, ma che mi consentono di occuparmi ancora di musica e cultura. Certo, ogni tanto mi manca il contatto con il pianoforte, l’incontro davanti al pubblico con altri musicisti, i timori, le gioie, gli applausi. Insomma, il palcoscenico. Diciamo che i miei primi 50 anni sono stati musicalmente bellissimi e che adesso, che sono chiusi in archivio, ho comunque la speranza di qualcosa di molto interessante per l’avvenire.

    Oltre al pianoforte, quale strumento la emoziona di più?

    Il violoncello. Non è un caso, a pensarci, che per mia assistente a Imola abbia voluto la giovane e meravigliosa violoncellista Ludovica Rana.

    Il suo nome di battesimo fa presupporre un’educazione cattolica. Quale rapporto ha avuto e ha con la religione dei nostri padri?

    Era il nome del mio nonno paterno, capitano degli Alpini, che non ho conosciuto, perché è morto per le conseguenze della prigionia in Germania. Comunque sì, sono cattolico e credente. Amo la messa tridentina. Non pretendo che questa sia la verità assoluta, ma la sento profondamente intrisa di quella sacralità che solo una lingua come il latino sa conferire così altamente. Sono, ad esempio, intimamente convinto che mia nonna Amina, classe 1891, abituata a pregare in latino pur senza conoscerlo, riusciva ad esprimere, anche per questo, un credo molto più saldo e stabile del mio. Insomma, ho difficoltà ad accettare la messa di oggi, con le schitarrate, le stornellate e i battimani. Credo invece che il latino, con la sua solennità, fosse anche solo per il fatto di non essere più una lingua comunemente parlata, esprima perfettamente, col rito tridentino, quel senso di sacro e di mistero che la liturgia non solo chiede, ma pretende. Perché, senza questo senso del sacro e del mistero, la liturgia è come se non ci fosse; e senza liturgia non c’è dogma; e senza dogma non c’è fede. Dopotutto, proprio la stessa fede è un sacro mistero, un dono non facilmente comprensibile, da custodire con il massimo amore.

    La politica, invece, quando è entrata nella sua vita?

    Quella con la P maiuscola, da sempre. Mio padre, che era del 1926, ha partecipato attivamente alla campagna elettorale del 1948, sostenendo la Democrazia Cristiana, e nella mia famiglia è sempre stato vivo il mito di Alcide De Gasperi, al quale indegnamente ho sempre cercato di ispirarmi. L’altra politica, quella con la p minuscola, con lo sguardo, citando proprio De Gasperi, sempre alle prossime elezioni e mai alle prossime generazioni, non la riconosco nemmeno come tale.

    Ci svela il suo percorso di crescita politico-culturale?

    Quando ero ancora un bambino, papà mi portava spesso con sé ad interminabili riunioni politiche abruzzesi. Non ero in grado di capire tutto, anzi, non capivo quasi niente, ma devo certamente a queste ‘frequentazioni’ un precoce sviluppo di un certo senso civico, che ho provato ad alimentare sempre di più negli anni successivi. Devo quindi ammettere che mi hanno ‘formato’ queste lunghissime ‘discussioni’ sulla ‘cosa pubblica’, e ci tengo ad assegnare una parte del merito anche agli avversari di mio padre, in particolare all’avvocato Giancarlo Cantelmi, deputato del Partito Comunista Italiano, a loro volta palesemente animati da sincero amore per la loro comunità.

    E oggi?

    Sono felice che il Presidente del Consiglio sia Mario Draghi e che il Presidente della Repubblica sia Sergio Mattarella. Non posso tuttavia nascondere che il livello medio culturale e d’animo delle nostre attuali aule parlamentari mi induce a più di qualche preoccupazione.

    Da appassionato della materia, ci può tratteggiare l’impegno politico di qualche grande musicista?

    Senza entrare in casi specifici, credo che ogni straordinario artista, capace di donare bellezza al mondo, in quel momento offra un altissimo servizio ‘politico’ alla sua comunità. In fondo, con parole molto più importanti, già Aristotele diceva qualcosa di simile quasi 2.400 anni fa.

    Cosa possono avere in comune tra loro musica e scienza?

    La musica si dipana secondo armonie che nei loro rapporti obbediscono a canoni scientifici. La composizione risale, nella sua essenza, a regole codificate in trattati che hanno tutto della scienza. Il suono stesso risponde alle leggi della fisica.

    E la musica di Dio?

    La musica di Dio è per me quella espressa nel ‘Canto Gregoriano’ e nella produzione di Johann Sebastian Bach. Più in generale, posso dire che sia tutta quella che riesce a trasportare in un’altra e più luminosa dimensione. Sono convinto che la voce di Dio sia fatta di musica e qualsiasi grande composizione le dia, in fondo, una forma umanamente percepibile. Non vorrei essere blasfemo, ma, se Dio è eternità, non possiamo non pensare alla musica come alla sua più vicina espressione, se è vero, come diceva Wilhelm Furtwängler, che la musica è architettura che si estende nel tempo, anziché nello spazio.

    Come si può descrivere l’armonia?

    Come lo stare bene insieme di cose o esseri diversi. La grande composizione musicale è, in questo senso, un paradigma della migliore ‘composizione’ sociale. L’armonia dei suoni è una rappresentazione udibile di quelle corde dell’anima che vibrano quando gli esseri umani si incontrano e compongono, appunto, contemperano, risolvono, le eventuali differenze tra di loro.

    I suoni del nostro mondo e del cosmo in generale sono sempre armonici?

    Dell’armonia fanno parte anche le dissonanze, come della vita. Direi quindi di sì. Quando il suono si distorce, invece, diventa rumore. E i rumori li crea soltanto l’uomo, mai la natura. Ricordo il rombo incredibile del drammatico terremoto in Emilia di una decina di anni fa. Persino quel tuono di morte non era un rumore, ma un suono impressionante della natura  ‘tragicamente armonico’. Il colpo di un cannone, invece, è sempre un rumore assordante, incomponibile e innaturale, come il crollo di un ponte o di un palazzo.

    La ispirano di più i suoni della montagna o quelli del mare?

    Diciamo che fra il silenzio della montagna e quello del mare, preferisco quello del mare, ma spero, con questo, di non indispettire i miei conterranei montanari abruzzesi. D’altra parte, un artista, come ogni essere vivente, evolve di continuo, e alla sua domanda avrei certamente risposto in maniera opposta in gioventù.

    Un’opera architettonica, pittorica e scultorea molto musicale?

    In ambito architettonico non ho dubbi nell’indicare i grandi teatri italiani, su tutti ‘La Scala’ di Milano e il ‘San Carlo’ di Napoli. In pittura, per fermarmi a una suggestione di qualche giorno fa, direi la ‘Maddalena penitente’, di Guido Reni: un po’ per la bellezza immaginifica del dipinto, un po’ per la scoperta recente di un’amicizia inaspettata, eletta e proprio ‘musicale’ col suo attuale proprietario. Tra le sculture, invece, suscita in me ‘sentimenti’ musicali molto forti la ‘Pietà Rondanini’, di Michelangelo Buonarroti.

    Quale importanza mediamente ha la musica per il teatro e per il cinema?

    La definirei un supporto ineliminabile. Anche il silenzio, infatti, in una rappresentazione teatrale o cinematografica, è tanto più drammatico proprio in quanto capace di far ‘sentire’, con la sua presenza, l’assenza della musica.

    La sua colonna sonora cinematografica del cuore?

    Quella di ‘C’era una volta in America’, di Ennio Morricone.

    Una poesia è mediamente più musicale di un romanzo?

    Direi di no. Anche la musica, come la letteratura, può idealmente ‘dividersi’ in prosa e poesia sublimi.

    Può abbinare per noi tre grandi vini ad altrettanto memorabili ‘ascolti’?

    Nel 2011 tenni a ‘battesimo’, con un mio concerto, un bianco friulano di belle speranze, l’‘Abbazia di Rosazzo’ di Livio Felluga, patriarca dei vignaioli italiani, scomparso un lustro fa alla veneranda età di 102 anni. Suonai, appunto, Scarlatti e Liszt. Oggi che il Rosazzo è un grande bianco, amato in tutto il mondo, lo abbinerei al ‘Notturno op. 55 n. 2’ di Fryderyk Chopin, suonato però da un genio come Ivo Pogorelich. A un Montepulciano d’Abruzzo, invece, abbinerei la ‘Sonata per pianoforte op. 106’ di Ludwig van Beethoven, nella monumentale interpretazione di Maurizio Pollini. E a un Sangiovese romagnolo, in omaggio alla mia caleidoscopica terra d’elezione, accosterei i contrappunti de ‘L’arte della fuga’ di Johann Sebastian Bach, nella esecuzione di Glenn Gould all’organo.

    E un ‘piatto’ preferito?

    I passatelli in brodo di mia moglie. Con la ‘Quarta sinfonia’ di Gustav Mahler, diretta da Bruno Walter.

    Quale rapporto ha con il suo (per ora) più famoso concittadino Tommaso da Celano?

    Di reverente sudditanza.

    Da Ravennate di adozione, che giudizio dà delle celebrazioni dantesche di quest’anno?

    Se mi è concessa una battuta, direi che Ravenna e Firenze, nel loro amore per Dante, riproducono la ‘vicinanza’ tra Tagliacozzo e Celano per il tramite proprio di Tommaso da Celano (nativo appunto di Celano, ma sepolto a Tagliacozzo). Insomma, due città sorelle, nel nome di un gigante.

    In sintonia con il maestro Muti, ha deciso di vivere a Ravenna per amore. Come ricompensa il suo Abruzzo?

    Portandolo fisso nel cuore.

    Musicalmente parlando, la ispira di più la nostalgia del passato o la febbre del futuro?

    Oggi, così, d’emblée, direi la nostalgia del passato. Forse perché, lontano dalla musica suonata, temo d’invecchiare più velocemente. Spero, invece, di continuare a vedere sempre nuove luci che si accendono, ad indicare la via.

    Ettore Zecchino


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