I protagonisti delle due culture

    Dino Cofrancesco

    Dino Cofrancesco

    Nativo di Arce, nel Frusinate, e genovese di adozione, Dino Cofrancesco è tra i più apprezzati storici delle dottrine politiche del nostro Paese. Di formazione filosofica, vanta una prestigiosa carriera accademica, avviata e conclusa nel capoluogo ligure, ma sviluppatasi tra Trieste e Pisa. Autore di saggi di successo sul linguaggio della politica, sugli intellettuali e il potere, sulla democrazia liberale, e su molti altri temi, ha collaborato con ‘Corriere della Sera’, ‘Secolo XIX’, ‘Libero’, ‘Il Giornale’, ‘Il Foglio’, ‘Il Riformista’, ‘L’Occidentale’, ‘Ideazione’, ‘Il Dubbio’, ‘Huffington Post’. Presente nel Comitato Scientifico o Direttivo di molte istituzioni culturali, in passato ha, tra l’altro, diretto il Centro per la Filosofia Italiana e il Centro internazionale di Studi Italiani dell’Università di Genova. Attualmente dirige l’Associazione Culturale Isaiah Berlin, che ogni anno, nel corso del Festival della Politica, che si tiene a Santa Margherita Ligure, assegna il ‘Premio Berlin per la saggistica politica’ e il ‘Premio Giovanni Ansaldo per il giornalismo’.

    Dino Cofrancesco ha partecipato alle ‘Due Culture’ nel 2015 e nel 2017. Nell’edizione di quest’anno, sulla ‘Libertà’, terrà la relazione introduttiva al meeting.

    Professore, da studioso del liberalismo, cosa pensa dell’ipotesi di obbligo vaccinale?

    Sono favorevole. D’altra parte, è già previsto per i bambini piccoli, con riferimento a varie patologie.

    E delle risposte politiche al COVID-19 nei vari Paesi del mondo?

    Non ho il quadro completo a livello mondiale, e non posso quindi esprimermi analiticamente. Credo, invece, di poter dire che l’Italia non ha adottato misure particolarmente ‘tiranniche’.

    Siamo nel ventennale degli attentati alle Torri Gemelle. La temporanea limitazione delle libertà che ne conseguì ha portato a delle conseguenze durature?

    Non credo. E osservo che gli allarmi sulla limitazione della libertà vengono spesso da movimenti o culture politiche che, in fondo, alla libertà non hanno tenuto molto in passato.

    E questo biennio pandemico?

    A costo di stupire, confermo l’opinione precedente. Quanto all’Italia, poi, non possiamo sottacere che il sistema politico era in crisi già da molto tempo, a prescindere dalla pandemia.

    Ci si può professare liberali ed essere, contemporaneamente, contrari all’eutanasia?

    Bisogna intendersi sul significato del termine. Un vero liberale diffida sempre dell’accanimento terapeutico e tende a rispettare la volontà cosciente di chi vuole risparmiarsi un futuro di sofferenze senza sbocchi. Si tratta, come si può ben comprendere, di situazioni ‘eccezionali’.

    E rispetto all’aborto?

    Ci sono dei casi in cui non si può penalizzare l’aborto (basti pensare allo stupro o ai casi di gravi malformazioni genetiche del nascituro). Se inteso come controllo delle nascite diventa, invece, una pratica aberrante. Penso che andrebbe stimolato un percorso che consenta alla donna di mettere al mondo il figlio, liberandola, però, dall’impegno di diventare mamma. L’adozione è una delle soluzioni possibili e relativamente a portata di mano.

    Il mondo classico come intendeva la libertà?

    Benjamin Constant, al quale si deve il celebre saggio ‘Sulla libertà degli antichi comparata a quella dei moderni’, parlava di libertà del cittadino, non dell’uomo in quanto tale: della libertà politica, non della libertà civile.

    E andando avanti nella storia?

    La libertà dell’individuo è un prodotto dei secoli moderni, dal Seicento in poi.

    Quale religione è più compatibile con la libertà?

    Non esito a dire la religione cristiana, perché è quella che ha il senso profondo della dignità dell’uomo, che mette in rapporto con Dio, senza mediazioni storiche, sociali e naturali. In questa ‘astrazione’, se ben si riflette, è la radice dell’individualismo occidentale.

    Per Stuart Mill la prima libertà era quella di pensiero e di espressione. Oggi è ancora così?

    No. Il politicamente corretto azzera la concezione che Mill aveva della libertà di pensiero.

    Libertà fa sempre rima con democrazia. I populismi odierni sembrano invocare una sorta di dittatura della maggioranza, per citare ancora Mill. Il politicamente corretto non è, tuttavia, meno tirannico. Come se ne esce?

    Il populismo è compatibile con la democrazia, ma non con il liberalismo. Il politicamente corretto nasce, in genere, da un universalismo etico di matrice illuministica. La via liberale non è quella della regressione comunitaria, ma neppure quella della pedagogia intesa a rigenerare l’umanità corrotta, in modo che tutti seguano i sentieri del Giusto e del Vero.

    Autonomia e indipendenza sono cugine o sorelle della libertà?

    L’autonomia una sorella, l’indipendenza fino a un certo punto.

    E l’eguaglianza?

    Direi proprio di no. La libertà crea inevitabilmente diseguaglianza.

    Oggi quasi tutti tendono a dichiararsi liberali. Un trionfo assoluto della libertà, o un’esigenza generalizzata di ampliarne il campo di azione?

    Si tratta solo di un termine di comodo, che evidenzia la crisi delle grandi ideologie, incluso il liberalismo. Tra l’altro, spesso e volentieri, si confonde liberalismo e liberismo. Un liberale può essere liberista, ma il liberismo puro porterebbe all’eliminazione dello Stato. Come vede, non nascondo mai la mia ammirazione per Benedetto Croce, anche nella mitizzata disputa con Luigi Einaudi.

    Come mai in Italia un partito di piena ispirazione liberale non ha mai sfondato, almeno non in maniera duratura?

    Il nostro Risorgimento ha avuto connotazioni rivoluzionarie, o, almeno fortemente innovatrici. Da allora, in Italia, ci si legittima solo in nome delle grandi riforme e delle profonde trasformazioni che si promettono. Nei Paesi con solida cultura liberale, invece, Destra e Sinistra si riconoscono e si legittimano a vicenda, senza la necessità di continue palingenesi. Per governare, in questi casi, non occorre introdurre grandi innovazioni. Non è uno scandalo se la locomotiva del Progresso si arresta per un certo periodo.

    La Democrazia Cristiana inneggiava alla libertà sin nel suo simbolo. Una promessa tradita o un inevitabile adattamento al contesto?

    L’anima popolare-sturziana era decisamente liberale. Per tutto il periodo degasperiano la Dc è stata, quindi, a tutti gli effetti, un partito liberal-conservatore. Con Amintore Fanfani le cose cambiarono, e, in quegli anni, va registrato l’ingresso del solidarismo cristiano (Welfare State all’italiana) come ispiratore principale delle scelte politiche. Un discorso simile si può fare anche per Aldo Moro.

    Il popolarismo è una espressione particolare del liberalismo o uno dei suoi tanti sviluppi storici?

    Nella sua essenza il popolarismo è il liberalismo cattolico, e un uomo come Luigi Sturzo merita un posto di rilievo nel Pantheon dei liberali italiani.

    Quali sono i requisiti minimi per meritarsi l’appellativo di liberale?

    Avere il senso dello Stato, e, al tempo stesso, dei limiti dello Stato.

    E quali i campanelli di allarme per una società democratica?

    Il grande problema odierno è la tenuta dell’ordine pubblico. Prima di Locke, c’è Hobbes.

    Ci tratteggia le caratteristiche principali di una effettiva libertà scientifica?

    Il rispetto della ricerca, nella consapevolezza che non tutto quello che è fattibile è lecito.

    Esiste una libertà assoluta?

    Secondo me, no. Qui la lezione di Isaiah Berlin è fondamentale. La libertà deve sempre ‘vedersela’ con altri diritti e valori, meritevoli, talvolta, di una tutela ancora maggiore. Basti pensare, come già detto, alla salute pubblica.

    Cosa si aspetta da questa edizione delle ‘Due Culture’ e cosa suggerisce per svolgerla al meglio?

    Credo che l’organizzazione sia stata delle migliori. Al momento, non sono in grado di dare consigli particolari.

    I giganti del liberalismo, secondo lei?

    Non esiterei a considerare David Hume e Montesquieu nel Settecento, John Stuart Mill, Benjamin Constant, Alexis de Tocqueville, nell’Ottocento, e, per venire al secolo scorso, Raymond Aron e Isaiah Berlin. Quest’ultimo, secondo me, da anteporre al pur straordinario Friedrich von Hayek.

    E in ambito letterario e teatrale?

    Uno scrittore o un drammaturgo monotematicamente liberale non sarebbe mai un grande scrittore. Nessun liberale, tuttavia, può ignorare un autore come Thomas Mann, per limitarci al Novecento.

    Oltre all’iconica guida della rivoluzione di Eugene Delacroix, quali immagini artistiche simboleggiano al meglio la libertà?

    Il dipinto da lei evocato, pur incentrato sulla libertà, inneggia alla rivoluzione. Come suggestione personale segnalo, invece, una vecchia foto, pubblicata da ‘Il Mondo’ di Mario Pannunzio, raffigurante Harold Macmillan in treno, intento a leggere il ‘Time’, dopo la sconfitta subita alle elezioni. Un leader politico che torna a casa sereno, perché, per citare Karl Popper, ‘’i regimi liberali si alternano senza spargimenti di sangue’’.

    La grande arte può non essere libera?

    Mai. Al limite, può non esserlo l’artista.

    La musica classica, sia sinfonica, sia lirica, ha inneggiato spesso alla libertà, talvolta in maniera sublime, altre volte in maniera militante . La musica del secolo scorso l’ha spesso associata alla trasgressione. Quest’ultima può forse considerarsi un suo attributo frequente?

    No, perché dietro la trasgressione c’è sempre la volontà di modellare il mondo a propria immagine (vedi il Sessantotto), e, quindi, una certa insofferenza per chi la pensa diversamente. Esattamente l’opposto del liberalismo.

    Qual è il rapporto tra libertà e libero arbitrio?

    Andando oltre il discorso strettamente teologico, direi che non ci può essere libertà senza libero arbitrio. In ogni caso, tra Erasmo e Lutero, parteggio per il primo.

    Perché la libertà politica su larga scala si è affermata così tardi nella parabola della storia umana?

    Forse perché ha messo a repentaglio equilibri sociali che gruppi dominanti erano interessati a preservare. In un certo senso, si può dire che il conservatorismo sociale ha ritardato l’avvento del liberalismo. Del resto, la liberal-democrazia non si può impiantare in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, perché presuppone, a tacer d’altro, l’esistenza dello Stato moderno, e di una consistente classe media.

    Da Madame de Stael e Benjamin Constant, a Henriette Taylor e John Stuart Mill, la storia del liberalismo è anche una storia di grandi amori, nel segno dell’emancipazione e del grande contributo femminile al progresso umano?

    Proprio così. Nel caso di Madame de Stael ci troviamo al cospetto di una grande pensatrice, i cui saggi storici e politici, decisivi per comprendere le dinamiche politiche e istituzionali della Francia tra 700 e 800, hanno inciso profondamente sulla teorica liberale di Constant. Nel caso della Taylor, invece, che sicuramente ha ispirato le posizioni del saggio ‘Sulla servitù delle donne’, è sulla parola di Mill che dobbiamo credere alla sua decisiva influenza intellettuale.

    Anche la libertà va ‘storicizzata’ o è sempre ‘progressiva’?

    Le libertà civili e politiche sono sempre un segnale di grande progresso.

    Mel Gibson-William Wallace sul patibolo leva un fragoroso inno alla libertà. Falso storico o concettuale?

    Penserei più a un falso storico. In quei tempi ci si ribellava a chi sconvolgeva il proprio habitat naturale e tribale (absit iniuria verbis), non a chi negava la ‘libertà liberale’, di ‘vivre sa vie’ come si vuole.

    Braveheart a parte, da un grande esperto di cinema come lei, ci aspettiamo una piccola lezione sulla libertà in qualche capolavoro della Settima Arte.

    I grandi film di John Ford sono tutti un inno alla libertà, dove il riconoscimento dell’altro non nasce dai libri, ma dal vissuto. Una lezione, per arrivare all’oggi, può partire anche da un film come ‘Gran Torino’, di Clint Eastwood, dove il percorso del protagonista porta al sofferto, ma definitivo riconoscimento della dignità-libertà altrui. Sono, tuttavia, fermamente convinto che un film costruito per lanciare un messaggio, tanto più se edificante, non è quasi mai un grande film. Un buon regista, infatti, deve sempre e solo saper descrivere la realtà, parlando del mondo e non di se stesso, pur partendo, ovviamente, da se stesso.

    Ne ‘L’uomo che uccise Liberty Valance’ del suo amato John Ford, il generoso e pre-politico John Wayne può dirsi ‘diversamente liberale’ rispetto a James Stewart, ormai democratico-liberale compiuto?

    In questo film il personaggio di John Wayne è straordinario perché è se stesso e basta, tanto egoista e altrettanto generoso, lungo lo sviluppo della trama.

    Nei decenni scorsi si sentiva più o meno libero, rispetto ad oggi?

    Mi sentivo più libero perché la cultura italiana sembrava pronta a incamminarsi definitivamente sulla via del confronto civile e del ripensamento sereno del passato. Basti pensare all’opera revisionistica di uno storico come Renzo De Felice, all’inizio molto osteggiata, ma poi accettata anche ai piani alti dell’intellettualità accademica. Oggi stanno tornando a spirare venti di censura e di intolleranza.

    La giovinezza predispone di più alla libertà?

    Direi proprio di no.

    In Italia educhiamo abbastanza alla libertà?

    Una buona educazione alla libertà consiste soprattutto in una regola aurea e semplicissima. L’ascolto delle due campane. Mi sembra che oggi in Italia, nelle scuole e nei mass media, non sia molto seguita.

     

    Ettore Zecchino

     

     

     

     


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