Originale volume, dal titolo accattivante ed enigmatico, ‘I sandali di Einstein. Introduzione all’estetica dello spaziotempo’, di Claudio Catalano (casa editrice Lulu.com), è uno degli ultimi contributi italiani alla comprensione dei costanti legami tra arte e scienze. Il periodo preso in considerazione, come si può intuire dal sottotitolo, è quello degli ultimi tre secoli, con un prologo newtoniano e alcuni intermezzi di epoche precedenti, fino all’apoteosi einsteiniana, rispetto alla quale, un po’ in ‘controluce’, è affrontata la meccanica quantistica. Oggetto principale di analisi è il concetto di spaziotempo, punto di arrivo di un’appassionata storia del percorso umano, sia artistico sia scientifico, verso la ‘quarta dimensione’, oltre e al di là della geometria euclidea. Osservati speciali in questo cammino sono la fisica e le arti figurative, ma l’autore, architetto culturalmente eclettico, non disdegna efficaci ‘sortite’ storico-letterarie.
Il collegamento tra arte e scienze nel libro appare biunivoco, e, in un certo senso, radicale, poggiato sulla convinzione della compresenza, in entrambi i campi, dell’atto della scoperta e di quello della creazione. E poi c’è la forza del pensiero, quella che, ad esempio, collega al genio di Newton quello di Etienne Louis Boullee, ‘’l’architetto della nuova era dell’universo svelato’’. E il libro spesso scava nei ‘ragionamenti’ dei protagonisti di una stagione che si annuncia scientificamente pre-rivoluzionaria. Tra Newton ed Einstein prendono quindi forma le inquietudini di Carl Friedrich Gauss e del suo allievo Bernhard Riemann, fino alle intuizioni pre-einsteiniane di Henri Poincarè, ben anticipate sulla tela da uno scardinatore dell’equilibrio figurativo come William Turner. Nuovi mondi che, per la loro natura controintuitiva, sgomentano il Dostoevskij dei ‘Fratelli Karamazov’, mentre esaltano l’inaspettato talento matematico di un Edgar Allan Poe, a tratti profetico nel suo profilo gotico. Proprio in questa fase, nel lungo periodo di gestazione dello spaziotempo, Catalano non ha paura di portare in evidenza fenomeni e ‘derive’ spiritiste di grana grossa, ma mai del tutto superabili ai fini di una comprensione vera della popolarità del concetto di ‘quarta dimensione’ in quegli anni. Un periodo elegantemente sublimato dal pennello di Vincent Van Gogh, che, con la sua ‘Notte stellata’ apre idealmente una nuova era, capace di ‘’rivelare l’illusorietà delle differenze operate dalla fisica classica tra il nostro mondo interiore e il mondo esterno’’.
La ‘Notte stellata’ di Van Gogh è una delle vette del volume e il più riuscito dei due intermezzi del libro, che concede comunque un bis con l’attribuzione al ‘Paradiso’ dantesco di intuizioni geometriche non euclidee ed iperspaziali, da parte del ‘riscoperto’ pensatore russo Pavel A Florenskij.
Siamo vicini alla fase cruciale del percorso, e, dalla coincidenza vera e propria tra arte e scienze, evidente in opere come ‘Il cavallo di Muybridge’, dove la nascente scienza fotografica è già arte, passiamo, attraverso il concettualismo di Marcel Duchamp (dall’autore insistentemente citato), ad esperimenti artistici contemporanei, come le ‘Sculture sonore’ di Martin Klimas. Solo un momentaneo salto in avanti, dal momento che Catalano deve ancora farci entrare nell’affascinante mondo della relatività einsteiniana e poi in quello della fisica quantistica. E lo fa, parlandoci di Cubismo e Futurismo, ma collocandoli all’interno di coordinate finalmente plausibili, smascherando pregiudizi consolidati in merito alla presunta consapevolezza ‘scientifica’ di questi movimenti. Catalano non è disposto a concedere a questi geniali innovatori dell’arte la contemporanea patente di potenti divulgatori del nuovo corso scientifico. E lo fa dire a illustri critici, ma anche allo stesso Pablo Picasso che, infastidito da tante elucubrazioni sulla sua arte, chiarisce inequivocabilmente che ‘’il Cubismo è solo un problema di pittura’’ e di ‘’un significato autonomo dato alla forma e al colore’’. Ciò non impedisce all’autore di far notare, all’opposto, come un concetto chiave della fisica quantistica quale quello del dualismo onda-particella sia stato inverato e animato nella mente di Niels Bohr anche dalla visione di quadri cubisti.
Quasi tutti gli artisti del Novecento, sembra suggerire l’autore, hanno dovuto fare i conti con le nuove visioni del mondo proposte dalla fisica dello spaziotempo, ma anche dalla meccanica quantistica. Non è un caso che il padre nobile di quest’ultima, Max Planck, consideri la scienza ‘’uno sforzo incessante verso uno scopo che l’intuizione poetica può comprendere, ma che l’intelletto non afferra mai completamente’’. E non ci sorprende che un ruolo di primo piano sia assegnato, dall’architetto Catalano, ad alcuni suoi illustri predecessori del recente passato. A partire da Frank Lloyd Wright, rappresentato, tra l’altro, come il ‘’trait d’union tra la moderna concezione dello spazio e il pensiero orientale’’. Un pensiero che, in altri passi del libro, nella sua dimensione religiosa buddista, induista, taoista, è considerato dall’autore stesso ‘compatibile’, per certi aspetti, con la nuova era della meccanica quantistica (tesi, bisogna dire, ancora controversa).
Tornando all’architettura, ci accostiamo a due tra i vertici indubbi del volume di Catalano, rappresentati da altrettanti ‘incontri’ tra Albert Einstein da un lato, e gli architetti Erich Mendelsohn e Le Corbusier dall’altro, entrambi ‘frementi’ per un giudizio del sommo fisico su due loro opere di ispirazione relativistica. Passi del libro tutti da leggere, soprattutto il secondo, per assaporare una quieta genialità e immaginarla poggiata semplicemente su un paio di iconici sandali.
Ettore Zecchino