Invito alla lettura

    Storie di vaccini

    Storie di vaccini

    Un titolo in parte fuorviante per un piccolo libro di qualità. ‘Storie di vaccini. Dal vaiolo al coronavirus. Tra sfide e successi’ (editore La Bussola) non è certamente un trattato storico sui vaccini e nemmeno una disamina di successi nel senso ‘immediato’ del termine. Si tratta, invece, ben più originalmente, di un agile mix biografico, scientifico, e ‘lateralmente’ storico, incentrato su un’avventura ultradecennale, vissuta in primissima persona dal professore Gennaro Ciliberto, attuale Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale Tumori ‘Regina Elena’ di Roma. Un’avventura con la maiuscola, quella dell’IRBM (Istituto di Ricerche di Biologia Molecolare) Angeletti di Pomezia, nato nel 1990 come una joint venture tra la multinazionale statunitense Merck Sharp and Dohme e l’italiana Sigma-tau,  e diretto del professore napoletano Riccardo Cortese, maestro e mentore di Ciliberto, dedicatario del libro. Una struttura passata di mano e trasformata, un ventennio dopo, in IRBM Science Park. Da essa, per la genialità di Riccardo Cortese è poi nata Okairos, e, successivamente, ReiThera e Takis. E di queste eccellenze biotecnologiche l’autore ricorda anche il momento del concepimento, soffermandosi sui nomi prescelti e sulle loro etimologie. Insomma,  una breve storia, da ‘insider’, di una valle dei vaccini italiana, emersa dall’oblio e valorizzata nei suoi successi e nelle sue battute d’arresto.
     Un racconto autobiografico, come si evince dalla ricca e gustosa aneddotica, relativa soprattutto al maestro ‘padre da scalare’ Riccardo Cortese. Ma anche dai ricordi figurativi, che ci immergono in sale presidiate da ritratti dei grandi immunologi dei secoli scorsi. Su tutti, Edward Jenner, capace di debellare il temutissimo vaiolo, e venerato da Cortese, entusiasta distributore di artistici fermacarte con effigiato, su piccole lastre di bronzo, il suo ‘mito’ nell’atto di vaccinare un riottoso bambino.  Senza dimenticare altri mostri sacri, come i vari Pasteur, Kock, Salk, Sabin. Dalle notevoli collezioni di arte contemporanea (erano gli anni di Claudio Cavazza e dell’industria farmaceutica paladina delle ‘Due Culture’), fino alle stesse architetture di stampo anglosassone di un parco scientifico in piena espansione.
    Un tratto emergente anche da un approccio ‘laico’ alla ricerca, che il maestro Cortese faceva perfettamente convivere con uno spiccato talento manageriale e in prima persona imprenditoriale. Una parentesi, questa pontina (belle anche le brevi digressioni storico-geografiche sui luoghi), che ha immesso l’Italia in un circuito veramente internazionale e, quel che più conta, in posizioni di avanguardia. Ecco, quindi, a poco a poco, emergere il ruolo cruciale, anticipato sin nelle prime pagine, della ricerca immunologica nazionale, capace di gettare le basi per la creazione di innovativi e performanti vaccini (basti pensare a quello contro l’ebola). E, venendo all’attualità pandemica, all’elaborazione e al perfezionamento di tecniche alla base sia dei vaccini con vettore adenovirale non umano, con la diretta partecipazione al progetto Astrazeneca, sia di quelli a mRNA, in parte letteralmente made in Italy, se si pensa che il vaccino di Moderna è stato ‘disegnato’ dal siciliano Andrea Carfì, a sua volta attivo per anni a Pomezia. Successi questi, a volte lineari, più spesso conseguenze di insuccessi parziali o di intuizioni partorite in altri ambiti. E così tocchiamo con mano i collegamenti diretti tra le persistenti difficoltà della ricerca immunologica in campi ancora in parte minati come Aids e cancro, e la performante applicazione di alcune di queste stesse ricerche in ambito infettivologico e virologico. Un vero e proprio inno alla vaccinologia come branca decisiva per garantire la salute umana in svariati ambiti, ma anche alla circolarità della ricerca e alla necessità di un suo continuo finanziamento. La scienza bio-medica torna, quindi, a mostrare la sua dimensione olistica, assestando, finalmente, un discreto colpo a una sua interpretazione  ultra-specialistica.
    Dal libro di Ciliberto, pur carico di vitale ottimismo e di resilienza contro le spesso prevedibili difficoltà italiche, non possono non emergere perplessità e in qualche caso, veri e propri scoramenti, per una politica della ricerca singhiozzante e ingenerosa in un settore che pochi decenni fa annoverava il nostro Paese tra le super-potenze mondiali.
    Il super-vaccino italiano, capace di mettere insieme le competenze sui vettori adenovirali di ReiThera, e sul DNA di Takis, in qualche modo evocato da Ciliberto, si è purtroppo rivelato, per ora, solo un sogno. Eppure, il decano dei farmacologi italiani, Sivio Garattini, ha evocato e continua ad invocare un vaccino ‘nazionale’, garantendo l’esistenza di tecnologie e know-how per realizzarlo.

    La ricerca, sembra dirci Gennaro Ciliberto, non si fermerà mai, almeno fino a quando esisteranno squadre di ricercatori motivati, come quella messa su dal defunto Riccardo Cortese. Il timore è che non tutti i ricercatori italiani siano intenzionati, o semplicemente siano nelle condizioni, di dimorare nel proprio Paese, come caparbiamente e meritoriamente ha fatto lo stesso Ciliberto.
    Dopo tutto, si sa, la scienza non ha confini, ma i ricercatori hanno comunque una carta d’identità.

     

    Ettore Zecchino


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