Professore Ordinario presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, già Presidente della Società Italiana di Nefrologia e membro del Consiglio direttivo della Società Europea di Nefrologia, Giovambattista Capasso è un nefrologo clinico, esperto di malattie renali rare.
Irpino di Lioni, con importanti e prolungate esperienze all’estero, dal Max Planck Institute di Francoforte, all’Albert Einstein College di New York e alla Yale University, in questa fase della sua prestigiosa carriera, arricchita anche da una lunga docenza presso l’Ateneo Vanvitelliano, è Direttore Scientifico di Biogem. Nel centro di ricerca arianese coordina, inoltre, il laboratorio di Nefrologia Traslazionale, che ha contribuito a far nascere.
Professore Capasso, può raccontarci il suo incontro con il mondo di Biogem?
Erano i primi anni Duemila, quando per la prima volta sentii parlare da Roberto Di Lauro (a quel tempo direttore scientifico di Biogem) di un Istituto di Ricerca ad indirizzo biomedico, avente come target la generazione di modelli murini di malattia. Ne fui subito affascinato perché nel campo delle malattie rare la modellistica animale è punto di forza di ogni progetto di ricerca, e poi perché l’Istituto, presentato con la solita maestria da Roberto, aveva sede nella mia terra. Un mio antico sogno è sempre stato quello di creare qualcosa di importante per la ricerca in Irpinia e sin dagli anni 90, mi ero impegnato per l’apertura di un Corso di Laurea in Medicina & Chirurgia della Università della Campania nella costruenda Città Ospedaliera di Avellino. Il corso partì, ma purtroppo fu chiuso al quinto anno. Che peccato! Qualche tempo dopo l’incontro con Di Lauro decisi di partecipare all’attività di Biogem, inizialmente localizzandovi Anna Iervolino, una dottoranda di ricerca in Scienze Nefrologiche del mio gruppo. Dopo alcuni anni intensificai la mia partecipazione diretta, anche attraverso l’organizzazione di convegni. Il primo, lo ricordo ancora bene, riguardava il rene policistico e fu un grande successo. Nel 2014 fui chiamato dal presidente Ortensio Zecchino per succedere come direttore scientifico a Mario De Felice, in procinto di dirigere una sezione del CNR, a Napoli. In quella fase Biogem era ancora diviso in tre aree e per sei anni ho avuto questo ruolo importante, ma settoriale. Solo da pochi mesi, a seguito dell’unificazione delle precedenti sezioni della ricerca, del service e della formazione, sono diventato direttore scientifico unico dell’intero istituto.
Quali i suoi programmi in questa nuova veste?
Biogem deve essere orientato, più che in passato, a coniugare la ricerca di base con quella clinica. Sfruttando, in particolare, il suo straordinario stabulario, i nostri ricercatori possono trovare lo spunto per la loro idea progettuale, partendo dalla malattia del singolo paziente, per poi studiarne la patogenesi ed i meccanismi molecolari, grazie anche a modelli murini generati attraverso l’ingegneria genetica, per poi ritornare al paziente con innovative metodologie diagnostiche e terapeutiche. Si tratta di mettere in pratica l’approccio traslazionale alla ricerca, ottimale per le malattie rare, ma applicabile a tutti i settori delle scienze mediche. Parliamo di una metodologia di ricerca sviluppata in tanti altri istituti, come il Mario Negri di Bergamo. Non è un caso che il suo presidente, Giuseppe Remuzzi, sia diventato anche presidente del Comitato Scientifico di Biogem.
E quali i progetti attualmente in campo?
Solo a titolo di esempio, possiamo citare uno studio partito da una osservazione prettamente clinica: l’aumento della patologia neoplastica in pazienti sottoposti a trapianto di rene. Il trapianto di organi è una delle grandi conquiste della terapia medica. Classico esempio di medicina personalizzata, ha permesso la sopravvivenza a migliaia di pazienti dal destino già segnato, garantendo anche una ottima qualità della vita. Delle tre grandi complicanze del trapianto abbiamo vinto la battaglia contro il rigetto e stiamo combattendo quella alle infezioni. Urge affrontare seriamente il problema della maggiore incidenza di neoplasie nei pazienti trapiantati.
Circa tre anni fa all’interno del progetto I-CURE, presentato alla Regione Campania dall’Università Luigi Vanvitelli, Biogem ha proposto un sotto-progetto per la identificazione di specifici biomarcatori, predittivi di sviluppo di tumori nei pazienti trapiantati di rene. Tutto ciò è fondamentale per una diagnosi precoce e può essere di aiuto per impostare una corretta terapia. Il progetto ha presto assunto una valenza nazionale, vista la necessità di reperire un numero di pazienti relativamente ampio. Di qui la realizzazione di un kick off meeting a Biogem, con la presenza dei responsabili di tutti i più grandi centri di trapianto italiani. Obiettivo del nostro istituto è poter raccogliere ed esaminare sangue e urine dai pazienti, prima del trapianto, continuando a seguire tali soggetti anche successivamente all’evento, a cadenza annuale. Il progetto avrà una durata quinquennale, tempo sufficiente per identificare eventuali bio-marcatori. Questi saranno validati mediante iniezione in modelli murini, utilizzabili anche per testare l’efficacia di specifici farmaci. La fase preparatoria dell’accordo nazionale ha richiesto circa 18 mesi, e oggi stiamo finalmente ricevendo i primi campioni, in arrivo da tutto il Paese.
Ho voluto citare questo progetto, perché, pur partendo dalla nefrologia, necessita di competenze di biologia molecolare, di modellistica animale, di oncologia molecolare, di bioinformatica. In una parola, di Biogem, secondo quella visione olistica di cui abbiamo già parlato.
Questo stesso tipo di approccio lo stiamo seguendo anche nello studio del microbiota intestinale, all’interno di un PON nazionale, con capofila l’Università di Bari. Biogem realizzerà, in particolare, il trapianto di feci di pazienti umani su animali gnotobiotici (germ free a livello intestinale).
Può farci qualche esempio riguardante, più specificamente, il laboratorio di Nefrologia Traslazionale?
Stiamo studiando alcune malattie rare, ad impronta genetica, con espressione fenotipica renale. Biogem è protagonista in due progetti finanziati dalla Fondazione Telethon che riguardano la Malattia di Fanconi-Bickel e la Glicogenosi1b, da studiare sia dal lato della patogenesi sia da quello della terapia. Facciamo inoltre parte delle rete regionale delle malattie rare ed anche della rete europea delle patologie rare ad espressione fenotipica renale (ERNKnet).
E da un punto di vista strutturale quali sviluppi?
Disponiamo da qualche tempo di un microscopio intravitale a due fotoni, che permette di studiare in vivo, su modelli murini, la funzione di singole cellule. Una tecnologia molto innovativa , presente in pochi laboratori in Italia e nel mondo. Noi la stiamo usando per visualizzare in vivo, grazie a traccianti fluorescenti, la dinamica di singoli nefroni e la funzionalità di specifiche cellule tubulari renali. Nel corso di quest’anno lo stesso strumento sarà settato per lo studio del cervello. L’idea progettuale è quella di studiare singole cellule cerebrali in modelli animali di patologie renali. Essa nasce da una osservazione clinica: in pazienti con varie forme di nefropatie, ma soprattutto con insufficienza renale avanzata, le funzioni cerebrali, ivi compresa la capacità cognitiva, risultano significativamente alterate. Questo progetto è supportato da un grant europeo del programma COST (European Cooperation in Science & Technology) da me coordinato, in cui Biogem si candida ad essere al centro degli studi sperimentali .
Come è organizzato il laboratorio?
Attualmente è composto da una dozzina di ricercatori, di varie nazionalità, con backgound diversi, ma uniti da un profondo spirito di gruppo. Sono coordinati da due miei validissimi collaboratori: Francesco Trepiccione, clinico di grande spessore, professore associato di Nefrologia all’Università Vanvitelli, si è sempre occupato di malattie rare, anche nel corso di brillanti esperienze in Danimarca (Aarhus University), Francia (Inserm, Parigi) e Stati Uniti (NHI, Bethesda) . Per quanto riguarda gli studi sulle compromissioni celebrali da patologie renali, il coordinatore è Davide Viggiano, ricercatore eclettico, associato di Nefrologia presso la Vanvitelli, ma con una formazione scientifica nel campo della fisiologia, e, in particolare, della neurofisiologia, che lo rende perfetto per il compito che gli abbiamo assegnato. Tutti i giovani colleghi sono stati attentamente selezionati ed ognuno di loro meriterebbe una piccola nota di merito. Per dovere di ospitalità voglio ricordare Yoko Suzumoto, la nostra ‘giapponesina’ con precedenti esperienze in Germania, esperta nella analisi strutturale di proteine. Suo è il recentissimo lavoro che trovate associato a questa intervista. Degno di nota è anche Vincenzo Costanzo, vincitore di una borsa di dottorato di ricerca della Università di Bologna, e che presto ‘difenderà’, presso l’Alma Mater, la sua tesi di dottorato, inerente gli studi in vivo fatti utilizzando il microscopio a due fotoni. Per completare la formazione scientifica di tutti questi ragazzi abbiamo previsto uno stage all’estero. Ultimo, in ordine di tempo, è il caso di Vittoria D’Acierno, che il primo giugno prossimo, dopo aver conseguito il PhD, volerà in Danimarca, per una esperienza biennale da PostDoc nel prestigioso laboratorio del professore Robert Fenton. Per ricercatori che partono ce ne sono altri che fortunatamente rientrano: Anna Iervolino, la prima nostra collaboratrice, è ritornata a Biogem, dopo uno stage di due anni nel laboratorio della professoressa Nicole Endlich (Germania), dove ha condotto degli studi pioneristici, utilizzando lo zebrafish, il prezioso pesciolino ‘trasparente’, grande speranza per le nuove frontiere della ricerca. Anna Iervolino, ricercatrice di Biogem della prima ora, maturata dopo questa esperienza internazionale, avrà il compito di guidare giorno dopo giorno questo gruppo di giovani colleghi, aiutandoli a crescere in un mondo altamente competitivo, ma affascinante, quale è quello della ricerca.
Credo che questo sia il massaggio più forte che intendo dare durante la mia direzione scientifica di Biogem: investire fortemente sul capitale umano, scegliendo con cura i colleghi che entrano in Biogem, assecondando la loro naturale inclinazione alla ricerca, risvegliando in loro il senso della curiosità, portando i migliori di loro ad assumere incarichi di alta responsabilità nella struttura di Biogem, che deve essere fortemente piramidale. E questo vale per tutti i comparti del nostro istituto.
Fare della ottima ricerca non è facile, soprattutto quando si è localizzati in zone periferiche. Diventa impossibile se non si seguono i principi della sana meritocrazia e della profonda collaborazione.
Ettore Zecchino