Area Covid-19

    Ricerca senese su monoclonali in fase uno

    Italia a un passo dalla sperimentazione clinica di un anticorpo monoclonale anti Covid 19. Protagonista è la fondazione senese Toscana Life Sciences, che ha dato vita, da alcuni mesi, al progetto MabCo19, in collaborazione con l’istituto di Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, di Roma. La ricerca, portata avanti dal team del professore Rino Rappuoli, e coordinata dal giovane battipagliese Emanuele Andreano, è praticamente conclusa, e si attende con fiducia l’imminente avvio della fase uno dei test clinici, che punta a dimostrare la sicurezza del prodotto. Si procederà poi con la fase due, che indicherà l’attività del farmaco in una popolazione di 20 soggetti sani, e la fase tre, allargata a un campione più ampio che indicherà l’efficacia del trattamento. La speranza è di poter disporre del prodotto entro l’estate prossima.

    Quella dei monoclonali è una strada da subito riconosciuta come fondamentale per la lotta al virus, ma fino ad oggi è stata percorsa con difficoltà un po’ ovunque. Il loro utilizzo, d’altra parte, è già largamente attestato in patologie oncologiche e autoimmuni. La notizia di un avanzamento degli studi per un loro utilizzo anti Covid19 è quindi di particolare importanza. Gli anticorpi monoclonali possono infatti essere una risposta del tutto complementare e ausiliaria a quella indispensabile offerta dai vaccini. Rispetto a questi ultimi possono vantare un effetto insieme profilattico e curativo, anche se al momento non sembrano in grado di agire sulle fasi più avanzate della malattia, e anche se l’immunità garantita ai pazienti dovrebbe essere molto più limitata nel tempo, rispetto a quella vaccinale. In compenso, come è ovvio, i tempi di stimolazione dell’organismo sono molto più rapidi di quelli del vaccino.

     

    Ettore Zecchino

     
    Studio monoclonali: il commento scientifico

    Un recente lavoro, intitolato “Extremely potent human monoclonal antibodies from convalescent Covid-19 patients”, di Andreano E e collaboratori, ha evidenziato l’esigenza di sviluppare anticorpi monoclonali umani (mAbs) parallelamente ai vaccini come tool terapeutico per l’infezione della SARS-CoV-2. L’importanza dello sviluppo di anticorpi monoclonali risiede nel loro rapido processo di produzione, in grado di aiutare a ripristinare la salute e il disagio economico causato dalla pandemia Covid-19. A tal proposito, come riportato nel loro lavoro, sono stati isolati e caratterizzati 14 anticorpi monoclonali contro la proteina spike del virus SARS-CoV-2. La SARS-CoV-2 spike glycoprotein (proteina S) ha un ruolo fondamentale nella patogenesi virale ed è considerata l'obiettivo principale per suscitare potenti anticorpi neutralizzanti, rappresentando il focus per lo sviluppo di strumenti terapeutici contro questo virus (Walls et al., 2020, Tay et al., 2020). È ormai noto che l'ingresso di SARS-CoV-2 nelle cellule ospiti è mediato dall'interazione tra la proteina S e l'enzima di conversione dell'angiotensina umana 2 (ACE2) (Wang et al., 2020b, Walls et al., 2020). La proteina S è una proteina di fusione virale di classe I trimerica composta da due regioni distinte, le subunità S1 e S2. Il riarrangiamento strutturale si verifica quando il dominio di legame del recettore (RBD) presente nella subunità S1 si lega alla membrana della cellula ospite. Questa interazione destabilizza lo stato di prefusione della proteina S, innescando la transizione nella conformazione post-fusione, che a sua volta si traduce nell'ingresso della particella virale nella cellula ospite (Wrapp et al., 2020). L'analisi di sequenziamento dell'RNA a cellula singola ha rivelato che l'espressione di ACE2 era ubiquitaria in diversi organi umani, suggerendo quindi che SARS-CoV-2, attraverso la proteina S, può invadere le cellule umane in diversi principali sistemi fisiologici, tra cui respiratorio, cardiovascolare, digestivo e urinario, aumentando così la possibilità di diffusione e infezione (Zou et al., 2020). Il lavoro qui discusso, può essere sostanzialmente suddiviso in due fasi. In particolare, in un primo step i ricercatori hanno arruolato 14 pazienti convalescenti Covid-19 dai quali sono state isolate le PBMCs (peripheral blood mononuclear cells). Partendo dalle PBMCs hanno eseguito un sorting a singola cellula, con lo scopo di identificare 4.277 MBCs (Memory B cell), poi incubate su uno strato di cellule di alimentazione 3T3-CD40L in presenza di stimoli IL-2 e IL-21 per due settimane, in modo da consentire la produzione naturale di immunoglobuline. Dopo la produzione di anticorpi, attraverso il test ELISA hanno testato l’abilità delle MBC contenenti IgG o IgA di legare il trimero della proteina S SARS- CoV-2 nella sua conformazione di pre-fusione o le subunità S1 + S2 della proteina S. Dai dati ottenuti nel primo step hanno identificato un pannello di 1.731 mAb specifico per la proteina S SARS-CoV-2 che mostrava un'ampia gamma di intensità di segnale. Nello step successivo hanno testato la capacità di tali mAbs specifici per la proteina S di bloccare il legame della proteina S ai recettori cellulari del modello cellulare Vero E6, e la capacità di neutralizzare il virus. Dai risultati ottenuti, il 19,6% degli anticorpi testati, ovvero 339, erano in grado di neutralizzare il legame antigene/recettore, mostrando un'ampia gamma di potenza di neutralizzazione, che andava dal 50% a oltre il 100%.  I dati ottenuti in seguito al test di neutralizzazione del virus, in base alla loro incapacità di proteggere le cellule Vero E6 dall'infezione, o alla loro capacità di prevenire parzialmente o completamente l'effetto citopatico, consentivano di classificare gli mAb in tre categorie: neutralizzanti; parzialmente neutralizzanti; e non neutralizzanti. Su 1.731 mAb testati in questo studio, hanno identificato un pannello di 453 mAb (26,2%), in grado di neutralizzare il virus vivo e di prevenire l'infezione delle cellule Vero E6. In particolare, la maggior parte degli nAbs da loro identificati erano in grado di riconoscere specificamente il dominio S1 della proteina S (57,5%; N = 244), mentre il 7,3% (N = 53) di nAbs era specifico per il dominio S2 e il 35,2% (N = 156) non riconosceva i singoli domini, ma solo la proteina S nella sua conformazione trimerica. Dal pannello di 453 nAbs hanno poi recuperato gli ampliconi delle catene pesanti e leggere di 220 nAbs, che sono stati espressi come IgG1 a lunghezza intera, utilizzando l'approccio PCR trascrizionalmente attivo (TAP) per caratterizzare la loro potenza di neutralizzazione. La stragrande maggioranza delle nAbs identificate (65,9%; N = 145) aveva una bassa potenza neutralizzante e richiedeva più di 500 ng/ml per ottenere un IC100. Una frazione più piccola degli anticorpi aveva una potenza neutralizzante intermedia (23,6%; N = 52) che richiedeva tra 100 e 500 ng/ml per raggiungere l'IC100, mentre il 9,1% (N = 20) richiedeva tra 10 e 100 ng / ml. Infine, solo l'1,4% (N = 3) dei nAbs espressi sono stati classificati come nAbs estremamente potenti, mostrando un IC100 inferiore a 10 ng / mL. In seguito, hanno caratterizzato solo 14 nAbs, tutti in grado di legare la proteina S SARS-CoV-2 nella sua conformazione trimerica. Nel dettaglio, gli nAb J08, I14, F05, G12, C14, B07, I21, J13 e D14 erano anche in grado di legare specificamente il dominio S1; gli nAb H20, I15, F10 e F20 non erano in grado di legare i singoli domini S1 o S2, ma solo la proteina S nel suo stato trimerico, mentre la nAb L19 legava solo la subunità S2. Nel gruppo di nAbs specifici per S1 solo J08, I14, F05, G12, C14 e B07 sono stati in grado di legare il dominio di legame del recettore S1 (RBD) e di inibire fortemente l'interazione tra la proteina S e i recettori Vero E6. D'altra parte I21, J13 e D14, nonostante mostrassero specificità di legame S1, non mostravano alcun legame con l'attività RBD e NoB.
    Concludendo Andreano E e collaboratori hanno identificato 4 gruppi di mAbs in grado di neutralizzare la proteina spike, e in grado di riconoscere il S1-RBD, il dominio S1, il dominio S2 e il trimero della proteina S. In particolare, gli anticorpi neutralizzanti più potenti risultavano essere estremamente rari e capaci di riconoscere il RBD, seguito in potenza dagli anticorpi che riconoscevano il dominio S1, la struttura trimerica e la subunità S2. L'anticorpo L19 contro la subunità S2, che aveva la potenza neutralizzante più bassa, era rappresentativo di molti altri anticorpi specifici S2, identificati nello screening preliminare. Da questi dati si  può concludere che nei pazienti convalescenti la maggior parte dei titoli di neutralizzazione osservati sono mediati dagli anticorpi con potenza neutralizzante medio-alta. In effetti, è improbabile che gli anticorpi estremamente potenti e gli anticorpi contro la subunità S2 contribuiscano ai titoli neutralizzanti complessivi, perché sono rispettivamente troppo rari e troppo poveri per poter fare la differenza. Il repertorio di anticorpi osservato dei pazienti convalescenti può essere una conseguenza della perdita di cellule T helper follicolari che esprimono Bcl-6 e della perdita dei centri germinali nei pazienti con Covid-19 che possono limitare la maturazione dell'affinità delle cellule B (Kaneko et al., 2020). Su 453 anticorpi neutralizzanti che sono stati testati e caratterizzati, solo tre hanno mostrato una potenza di neutralizzazione estremamente elevata, con un IC100 inferiore a 10 ng/ml sia contro il ceppo SARS-CoV-2 iniziale isolato a Wuhan, sia contro la variante D614G, attualmente diffusa in tutto il mondo.

    Alessia Maria Cossu postdoc Biogem 

     

     

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