Ragguardevole sintesi di una vita di studi umanistici, condensata in pochi lemmi e non moltissime pagine, ‘Il lessico dei Greci. Una civiltà in 30 parole’, di Giulio Guidorizzi (Raffaello Cortina Editore), si offre al lettore con la semplicità di una prosa scorrevole, in grado di attenuare la complessità dei concetti trattati. L’autore, lungi dal semplificare ciò che rimane complesso, scommette infatti sulla chiarezza del linguaggio come grimaldello per il nostro ingresso in un mondo che ad ogni evidenza padroneggia e sente proprio. E così, la Grecia classica rivive attraverso trenta parole, che, tuttavia, come nelle scatole cinesi, ne inglobano almeno altrettante, scelte da Guidorizzi in ragione della loro importanza, ma ‘presentate’ in un ordine che si sforza di essere, almeno in parte, cronologico. Come per il caos (cháos) primissimamente alla base di tutto, secondo il superlativo avverbiale utilizzato da Esiodo nella sua ‘Teogonia’. Un disordine, ma più propriamente un vuoto, che sarà poi ordinato da philía (amicizia), e, soprattutto, da éros, forza aggregatrice per eccellenza, e, a sua volta, paradigma assoluto del disordine nell’animo umano. Una dicotomia che si ripete più o meno casualmente nel corso del libro e che, in modo diverso, prende forma anche nel secondo capitolo, dedicato all’anima (psyché) omericamente soffio vitale di ogni individuo, ma, successivamente, espressione completa dell’io interiore. Un’autocoscienza che, in qualche modo, si perde con l’irruzione dell’entusiasmo (enthousiasmós), dai Greci concepito come un cedimento della ragione, sotto la spinta di forze divine, capaci, attraverso altre vie, di condurre alla follia (manía), o al sogno (óneiros), concepito come qualcosa di estraneo che viene ad abitarci.
Dalle forze primordiali, Guidorizzi ci guida poi in un lungo viaggio nella civiltà greca, sempre rigidamente patriarcale (patér), ma da tribale presto evolutasi in ‘cittadina’, come attesta l’evoluzione del gámos (matrimonio), con conseguente ridimensionamento di valori arcaici, quali l’ospitalità (xenía) e il dono (dóron). Non originale, ma altamente suggestiva, in questa sezione, è l’antica dicotomia tra giustizia e legge (díke e nómos), come dire tra regole assolute e relative. Un dilemma trattato con dotti richiami a Omero ed Esiodo, ma fatalmente racchiuso nell’ottica dell’Antigone sofoclea.
Anche la civiltà greca non è insensibile al sacro, ma Guidorizzi, in una prospettiva forse epicurea, sembra dare un peso relativo agli Dei, concentrandosi, invece, su concetti meta-religiosi, quali il destino, la sorte, la necessità (moíra, týche, anánke), sublimati nella tragica vicenda, ancora una volta sofoclea, dello sventurato Edipo, ma cruciali in moltissimi episodi omerici. Ed è proprio al leggendario cantore cieco che il nostro autore si rivolge lungo tutto il percorso, dedicando, inoltre, un intero capitolo a quelli che chiama i valori omerici, come la gloria e la vergogna (kléos e aidós), ma anche l’eccellenza nello sport (agón-gara). Valori cruciali per tanta arte ellenica, espressa attraverso le due forme della parola: il mito (mýthos) e il discorso razionale (lógos), alla base della poesia e della retorica, intesa come arte (rhetoriké).
Il saggio di Guidorizzi si chiude con uno sguardo ai saperi, dalla politica (politiké), alla medicina, nella sua accezione di cura (therapeía), fino alla sapienza (sophía), tre immensi regali della Grecia antica al mondo. L’ultimo dei quali, nella forma più specificamente filosofica, inteso anche come una bussola per la ricerca della felicità. Il sapiente, infatti, punta a conoscere sé stesso, ma anche a vivere in società con sé stesso, partendo dalla prometeica convinzione che l’uomo è la misura di tutte le cose.
E - sembra dirci Guidorizzi - in tempi di intelligenza artificiale e di nuovi orizzonti ultra-umani, Socrate, Platone e Aristotele sono più attrezzati di Schopenhauer o Nietzsche.
Ettore Zecchino