Agile e intrigante saggio sul tema attualissimo dell’intelligenza artificiale, affrontato da molteplici punti di vista, ‘Il futuro è già qui’ (Strade Blu Mondadori) porta la firma di Barbara Gallavotti, divulgatrice scientifica a denominazione di origine controllata e garantita. Non sorprende, dunque, che la sua maestria, affinata, tra l’altro, in decenni di collaborazione con la premiata ditta ‘Quark’, affiori sin dalle prime battute del libro, che, dopo un prologo esplicativo, ci regala un ‘tuffo’ dentro un viaggio storico-letterario, alla ricerca dei precedenti, o, più propriamente, dei ‘presupposti’ dell’IA. Ecco, quindi, i primi automi progettati nell’era alessandrina, perfezionati e magnificati dal seducente mondo arabo in piena atmosfera da ‘Mille e una notte’, e, finalmente, inquadrati ‘matematicamente’ in Europa, a partire, sia pur disorganicamente, dalla Prima Rivoluzione Scientifica. Un percorso – avverte subito l’autrice – che è il <<risultato di tre sfide che scorrono per un vasto tratto separatamente, ma che poi finiscono per confluire in un unico, potente corso d’acqua>>, e che consistono nel tentativo di: creare macchine che imitino gli esseri viventi; comprendere il nostro cervello; mettere a punto altre macchine, capaci di compiere azioni caratteristiche della mente umana. <<Le sorgenti di questi tre fiumi – ammonisce ancora l’autrice – sono molto lontane>>, ma tale constatazione non ci impedisce la partenza per un viaggio avvincente nella storia prima e nell’epistemologia poi, di un fenomeno tecnologico oggi letteralmente esploso e la cui portata è persino riduttivo definire epocale.
Dagli accenni ai ‘fantastici’ automi di Erone di Alessandria e, molti secoli dopo, di Ismail al-Jazari, il libro ci conduce nell’Europa moderna di Galileo, Cartesio, Pascal, Leibniz, per poi mettere un punto all’apparire della figura, ancora non abbastanza celebrata, di Alan Turing. All’indiscusso padre britannico dell’informatica, Barbara Gallavotti sembra guardare anche come al principale antesignano del concetto stesso di Intelligenza Artificiale (denominazione, dall’autrice considerata inquietante, coniata nel 1956 nel dipartimento di matematica del Dartmouth College, New Hampshire, nell’ambito di un consesso di super cervelli, appositamente riuniti). Tale denominazione è preceduta e accompagnata da una definizione empirica e ‘in negativo’ risalente allo stesso Turing, orientato a considerare l’IA una realtà ancora sostanzialmente inattuata. Secondo il decifratore di Enigma (il sistema di comunicazione in codice, tra le cause dello strapotere militare nazista), una macchina può infatti dirsi intelligente solo quando è identificata come tale dall’interlocutore umano. Una circostanza – fa notare Barbara Gallavotti – dal 2022 non più fantascientifica, grazie all’avvento di ChapGPT e delle sue straordinarie ‘capacità’. Un punto di svolta straordinario, ma, per la stessa Gallavotti, non ancora decisivo, vista la persistente incapacità di qualunque macchina a mostrare consapevolezza piena del reale, di cui pure realizza una perfetta ‘comprensione’ grazie alla stupefacente capacità di elaborazione dei tanti dati in suo possesso. Un ‘indottrinamento’, quindi, di origine umana, e, pertanto, figlio diretto della cara, vecchia intelligenza naturale, a tutt’oggi l’unica in grado di mostrarsi autocosciente e autenticamente creativa (questa seconda prerogativa, in realtà, è oggetto di intenso dibattito tra gli esperti di tutto il mondo). Anche la più sviluppata intelligenza artificiale generativa, priva come è di autonomia operativa, può agire solo ‘in seconda battuta’, come sviluppo dell’intelligenza naturale, di cui può, quindi, considerarsi uno ‘strumento’, benché sofisticatissimo. Come, in altro senso, certamente lo sono le concettualizzazioni e le stesse applicazioni in materia di cyborgs e androidi, destinate ad aiutare sempre di più l’umanità sofferente e clinicamente malata, nell’ambito di un uso ‘medico’ dell’IA, già molto efficace nella diagnostica.
L’intelligenza artificiale – sembra dire l’autrice – è già tra noi e, imitando funzionalmente il nostro cervello (superandolo di moltissimo nel calcolo ‘bruto’, ma non avvicinandolo neppure lontanamente in molte altre funzioni), ci supporta in tante operazioni quotidiane, alleviando gli sforzi del nostro presente e prospettandoci un nuovo modo di vivere, non privo di inquietanti effetti collaterali, in ambito soprattutto economico e lavoristico. Conseguenze ed effetti mitigabili, nella speranza, dalla Gallavotti convintamente espressa, di un ulteriore sviluppo dell’IA, pur messo in pericolo dalla sua dispendiosità energetica, ad oggi insostenibile.
Un auspicio e un augurio, conclude la nota divulgatrice scientifica, possibili solo se sapremo considerarla e viverla come un’opportunità e non come un destino ineluttabile e se sapremo, per questo, stimolare, al massimo grado possibile, la nostra insostituibile intelligenza naturale.
Ettore Zecchino