I protagonisti delle due culture

    Pasquale Grasso

    Pasquale Grasso

    Chitarrista jazz tra i più apprezzati al mondo, Pasquale Grasso è nato ad Ariano Irpino nel 1988 e attualmente vive a New York. Nel termpo ha sviluppato una tecnica molto originale, ispirata dai pionieri del bebop, come Bud Powell, Charlie Parker e Dizzy Gillespie e arricchita da una formazione musicale classica. Definito una decina di anni fa dal grande Pat Metheny <<il miglior chitarrista ascoltato in tutta la mia vita>>, Pasquale Grasso continua ad affiancare allo studio e alla didattica una frenetica attività concertistica nei più prestigiosi locali di Manhattan.

    Nel 2015 ha pubblicato il suo primo album, ‘Reflections of Me’. Nello stesso anno ha vinto, a New York, il 'Wes Montgomery International Jazz Guitar Competition'. Nel 2017 ha firmato con la Sony Masterworks.
    Raffinato interprete, ad oggi può vantare anche 25 composizioni proprie. Vincitore di un Grammy nel 2023 per l’accompagnamento con chitarra in un album della nuova stella del canto jazz, Samara Joy, è stato ‘Migliore chitarrista 2023-2024’ nella categoria ‘The Rising Star Guitar’ per la celebre rivista ‘DownBeat’.

    Suona una chitarra ideata e costruita dal liutaio Bryant Trenier, suo amico di vecchia data

     

    Maestro, dai primi concerti nella natia Ariano Irpino ai più prestigiosi jazz club di Manhattan, quanto ha contato la famiglia nell’indicarle le prospettive giuste?

    Tantissimo. I miei genitori mi hanno indirizzato alla musica con mio fratello Luigi, dedicandosi infaticabilmente alla nostra formazione. Mio padre ci ha accompagnato ovunque in giro per l’Europa, consentendoci di seguire corsi di maestri prestigiosi. In un certo senso è stato il nostro primo maestro. Da dilettante, ma dotato di un talento naturale per la musica, ha infatti individuato precocemente le nostre potenzialità, contribuendo, nei primi tempi, al miglioramento della nostra tecnica. Quanto a mia madre, basti dire che ha letteralmente imparato a ‘solfeggiare’ con noi, per aiutarci nel migliore modo possibile. La costante armonia familiare ha fatto il resto.

     

    Il rapporto con suo fratello ha mai risentito di quella che, biblicamente, potremmo chiamare ossessione a differenziarsi?

    Fortunatamente no. Anzi, devo a lui, più grande di qualche anno, il mio ingresso nel mondo della musica. Diciamo che in famiglia Luigi ha fatto da battistrada.

    In quale modo la sua provenienza geografica ha inciso sulla sua carriera?

    Credo che l’essere nato e cresciuto in una comunità piccola ma sana sia stata una fortuna per noi. Abbiamo infatti potuto concentrarci sulla musica, con serenità e senza distrazioni, ispirati anche dalla bellezza dei paesaggi verdi della campagna arianese.

     

    New York è una scelta definitiva?

    La Grande Mela è una delle patrie del jazz ed è una metropoli che non smette mai di sorprendermi. Confesso che ne sono innamorato.

    Una decina di anni fa Pat Metheny ha sostanzialmente definito Pasquale Grasso il musicista più interessante al mondo. Cosa pensa Lei del grande Pat Metheny?

    Lo considero un talento unico, una persona straordinaria e, con mio grande onore, un vero amico. Lo ascolto sempre con piacere e non di rado suoniamo insieme, anche se i nostri stili sono molto diversi.

    A distanza di anni da questa enorme gratificazione, ci racconta il suo stato d’animo iniziale e le motivazioni in Lei suscitate? Ha mai temuto di ‘bloccarsi’ o inibirsi oltre misura?

    Ho sempre avuto un approccio alla musica improntato a un sentimento di positività, forse favorito dal piacere che ancora provo a suonare. Le ansie e le paure non sono mai mancate, ma sono riuscito a non farmi sopraffare. Non sempre è stato facile. In Italia mi sentivo poco compreso perché il tipo di musica che ho scelto non è particolarmente popolare. Qui negli Usa, al contrario, le ‘sfide’ e le ‘prove’, con le annesse ansie, sono all’ordine del giorno!

     

    Perché ha cominciato ad ispirarsi a Bud Powell, eccellente musicista jazz, ma pianista e di un’epoca ormai molto lontana?

    Credo si tratti di una connessione un po' istintiva, poco spiegabile razionalmente. D’altra parte, essere suggestionati da geni di questa portata è piuttosto naturale.

    La sua riconosciuta capacità di fondere approccio classico e jazz nel suonare la chitarra ha già fatto scuola o è ancora isolato tra i grandi interpreti?

    Mi sembra, sinceramente, di non essere in così grande compagnia. La mia formazione classica mi consente, infatti, di suonare usando le ‘unghie’, e, comunque, di utilizzare tutte le dita di una mano, prerogativa molto rara in un jazzista puro.

     

    Crede di essere destinato a mantenere nel tempo questo stile o intravede approcci innovativi nella sua evoluzione?

    Quando compongo o suono non penso mai allo stile, che non credo sia programmabile e che, comunque, per sua natura, è soggetto ad evoluzioni.

     

    La sua creatività si è espressa maggiormente nell’esecuzione di brani altrui. A quando l’evoluzione in compositore di musica propria?

    Per la verità, ho composto, ad oggi, 25 brani, ma trovo sempre molto gratificante anche il ruolo dell’interprete.

     

    Con quale strumento collabora meglio?

    Forse proprio con il sassofono, meglio se suonato da mio fratello Luigi.

     

    Le sue maggiori performances singole e in gruppo?

    Ricordo con particolare trasporto una recente esibizione al Birdland Jazz Club, qui a New York. Porto nel profondo del cuore la mia partecipazione ad Umbria Jazz, nel 2022.

     

    E le mitiche jam sessions?

    Sono all’ordine del giorno.

     

    Bud Powell a parte, i suoi miti del jazz?

    Tra gli altri, Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Duke Ellington, Louis Amstrong, Billie Holliday.

     

    E della musica classica?

    Senza dubbio Bach e Beethoven.

     

    Quale repertorio pop tende ad ascoltare per rilassarsi?

    In verità, non ascolto molta musica pop.

     

    Il suo rapporto con la grande tradizione melodica napoletana?

    Ottimo! Spesso mi diletto a suonare con la mia chitarra le più famose melodie del periodo d’oro.

     

    Mediamente in Italia si compone e si suona jazz di qualità?

    Credo proprio di sì e ho spesso la fortuna di esibirmi con colleghi di sicuro talento. Non posso, tuttavia, dire di conoscere a fondo la realtà italiana.

     

    I suoi principali maestri?

    Il primo, cronologicamente parlando, è stato Agostino Di Giorgio, newyorkese trasferitosi a Roma. Poi fu la volta di Barry Harris, che mi ha impartito preziose lezioni in Svizzera. Non ultimo, Walter Zanetti, il mio docente al Conservatorio di Bologna, fondamentale perché, grazie alla sua passione per il jazz, ha saputo seguire con competenza il mio percorso di contaminazione con il ‘classico’.

     

    Come vive il lato ‘scientifico’ della sua attività?

    Superficialmente. Percepisco nitidamente il lato ‘tecnico’, ma sono ispirato esclusivamente dal mondo delle

    emozioni.

     

    Da un punto di vista strettamente umanistico, invece, quali sollecitazioni da altre discipline accrescono la sua sensibilità musicale?

    Fonte principale di ispirazione è la vita vera. In ambito artistico molte suggestioni mi arrivano dall’arte figurativa, come quella che spesso ammiro al Metropolitan Museum, qui a New York.

     

    Conosce Biogem e il suo meeting ‘Le 2ue culture’?

    Me ne ha parlato mio padre e sarei molto contento di parteciparvi.

    Nostalgia per Ariano?

    Quella è costante. Ogni settimana penso ai paesaggi, ai sapori e ai tanti affetti della mia terra e continuo a trarne ispirazione.

     

     

    Ettore Zecchino


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