Presidente della Pontificia Accademia di Teologia, è stato eletto vescovo il 22 gennaio del 2009 per la Diocesi di Noto, dove ha esercitato il ministero episcopale per 14 anni. Dottore in Teologia e in Filosofia, ha insegnato Teologia sistematica all’Istituto Teologico calabro e Teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana. Promotore della Pop-Theology, intesa come carità intellettuale a servizio dell’evangelizzazione, è esperto del pensiero di Rosmini, Anselmo d’Aosta e Gioacchino da Fiore e autore di monografie teologiche, filosofiche, poetiche e pastorali, incentrate sul dialogo con il sapere delle culture popolari e con tutti gli altri saperi, anche scientifici. Tra le opere recenti si segnala: ‘Ripensare il pensiero. Lettere sul rapporto fede e ragione a vent’anni dalla Fides et ratio’, Marcianum Press 2023, con prefazione di Papa Francesco e ‘Zibaldone della Pop-Theology, Teologia dell’immaginazione per comunicare la sapienza della fede’, Mimesis 2024, con prefazione di P.A. Sequeri.
Monsignore, ci regala qualche piccola anticipazione del suo intervento a ‘Le 2ue culture’ 2024?
Il titolo del mio intervento è abbastanza provocatorio e immagina un dialogo sull’amore tra Dante Alighieri, Paul Dirac e John Denver, personalità molto diverse tra loro e lontane nello spazio e/o nel tempo. Credo, comunque, che dobbiamo considerare l’esistenza di una sola cultura, magistralmente definita da Giovanni Paolo II <<ciò che rende l’uomo più uomo>>. Esattamente il contrario dello scientismo, che non vuole restare dentro l’umano, ma immagina, attraverso la tecnica, un post-umanesimo, un’ibridazione dell’umanità, una riproduzione dell’umano mediante l’applicazione dell’intelligenza artificiale, che sostituirebbe il carbonio con il silicio dell’androide. La cultura scientifica, ridotta a scientismo, perde quindi l’elemento umano. Nel frattempo, seguitiamo ad inflazionare il termine cultura, utilizzandolo a sproposito (basti pensare all’espressione ‘cultura mafiosa’).
Più specificamente, nel mio intervento, evidenzierò la grande intuizione di Dante Alighieri che, con <<l’amor che move il sole e le altre stelle>> o con <<l’amore che quieta questo cielo>>, dissolve o comunque rielabora la visione cosmologica aristotelica, poi messa in soffitta da Galileo. Il motore immobile di Aristotele è atto puro, pensiero che pensa a sé stesso. Nella cosmologia aristotelica tutto è attratto dal motore immobile, come causalità finale, ma il motore immobile non lo può sapere, altrimenti non sarebbe immobile. Con Dante, invece, il fondamento dell’essere diventa l’amore, che muove, appunto, il sole e le altre stelle. Paul Dirac negli anni Trenta del secolo scorso elabora la sua equazione sull’entanglement, tuttora chiamata equazione dell’amore. Un percorso simile è affrontato da John Denver nel suo celebre ‘Rhymes and Reasons’.
Conosceva già il nostro meeting?
No. Ho avuto il piacere di incontrare il fisico Antonio Ereditato, che mi ha cortesemente invitato, e ho trovato molto interessante partecipare perché la teologia esca dal ghetto in cui è stata costretta. Il metaverso illuministico ha infatti stuprato il sapere teologico, riducendolo a favola, a mitologia, ghettizzandolo nelle sacrestie. La teologia è, invece, scienza della fede perché, con un metodo rigoroso, osserva la realtà, mette insieme le cose osservate, stabilisce relazioni, giungendo a risultati cumulativi e progressivi. Un concetto non accettato da taluni scienziati, per i quali la scienza è solo sperimentalità e sarebbe quindi preclusa ai saperi storici, filosofici, sociologici e, in fondo, persino matematici (questi ultimi, paradossalmente, fondamento di quasi tutte le scienze). L’incontro-scontro tra le due culture non può non riguardare anche direttamente il concetto di scienza e pure da questo versante dobbiamo superare tale dicotomia.
Un dialogo più serrato tra i due grandi rami del sapere può essere una premessa necessaria per un approccio problematico, ma aperto, al tema della fede in Dio?
Assolutamente sì, perché se Dio c’è ed è il creatore, non c’è nulla che possa essere investigato dalla scienza che non lo riguardi. La questione è stata sempre impostata sotto il capitolo fede-scienza. Basti pensare alla ‘Fides et ratio’ di Giovanni Paolo II, ma culturalmente parlando si è sempre posto il problema dell’inizio.
La scienza, in particolare, può dare risposte al riguardo? L’argomento è stato di recente trattato da un best seller francese ‘Dio, la scienza, le prove’, di Michel-Yves Bollorè ed Olivier Bonnassies, in Italia non particolarmente acclamato. Lo ha letto? E come lo giudica?
Devo confessare di averlo letto solo trasversalmente, con l’intenzione di voler trovare queste cosiddette prove. A mio modesto avviso, l’operazione linguistica è stata di puro marketing. La scienza, in realtà, non può provare nulla. Non a caso, in questo testo, l’angolatura non è solo scientifica. Lo scienziato può giungere a delle prove in questo ambito solo se, mentre fa scienza, si fa filosofo.
Cosa può dirci della ‘sua’ pop theology?
La pop theology è tutta spiegata in una serie di volumi, compreso un monumentale ‘Zibaldone della pop theology’ di 1.030 pagine ed è un tentativo di comunicare il sapere della fede, contribuendo all’intelligenza delle cose che riguardano l’umano. La rivelazione di Dio è un sapere che riguarda l’umano in tutte le sue espressioni e la pop theology, in particolare, si impegna a comunicare, recuperando nell’elaborazione teologica non solo il concetto critico ma anche tutti i registri linguistici dell’immaginazione, sostanzialmente quelli artistici, figurativi, narrativi e musicali. Proprio la musica, per Platone, è una legge morale che riguarda tutte le cose, dando impulso alla gioia e fascino alla tristezza, ma è anche energia che anima tutto. Del resto, l’inflazione cosmica richiama al concetto di soffio, di suono, un po' come il soffio, il vento divino della Genesi.
Fin dove può arrivare la teologia nel tentativo di penetrare il mistero di Dio?
Non deve arrivare a penetrare il mistero di Dio, ma deve accoglierlo, con la rivelazione di Cristo. La ricerca scientifica è in un umile atteggiamento di osservazione. Il problema della teologia è saper spiegare il mistero, già intelligibile dagli esseri umani. Il genio del Cristianesimo riguarda l’uomo è l’umanità, che va spiegata nel suo mistero, a immagine e somiglianza di Dio. Per non dire che con il “cristocentrismo” l’umano di cui parliamo è esso stesso un mistero sepolto nei secoli. Gesù di Nazareth è prima del suo stesso avvenimento storico. Scombussola le strutture del tempo. Niente paura! Oggi la meccanica quantistica sta riorientando i termini di passato, presente e futuro. Basti pensare al film ‘Interstellar’. Con il Vangelo si viene a sapere che Gesù di Nazareth – nato duemila anni fa - viene “prima di Adamo, prima che il mondo fosse”. La teologia non deve perderlo di vista, deve esibirne l’intelligibilità per la ricerca umana della verità e del senso.
Il sacro si alimenta anche di tradizioni, liturgie e linguaggi propri?
Assolutamente sì e viene prima di qualunque ragione scientifica, entrando nelle fibre più profonde dell’umano. L’uomo nasce come animale simbolico e il sacro come anelito e apertura all’infinito è nella stoffa originaria dell’uomo, che è sempre ‘homo religiosus’. Gesù Cristo dissacrerà tutto, abolendo il sacro e dando inizio alla stagione della santità. Con Cristo l’unica cosa sacra è la libertà umana. Di qui, la desacralizzazione del sabato e la santificazione dell’uomo che opera nella libertà dell’amore-carità. Santificazione vuole dire pienezza di umanità, non altro.
Come possono convivere Mengoni e il canto gregoriano?
Non è Mengoni che deve convivere con il canto gregoriano. Quest’ultimo è una modalità melodica che ha aiutato l’uomo a sviluppare lo spirito di contemplazione, ma viene cantato solo in chiesa. Migliaia di giovani sanno, invece, a memoria, tutte le canzoni di Mengoni. Investigandone i contenuti, si può sperare di trovare spiragli di luce che aiutano a continuare il cammino della vita. I brani di questi cantanti intercettano spesso i problemi della contemporaneità ed è lì che bisogna trovare una breccia per inserirsi e portare la luce del Vangelo.
Cosa pensa della messa in latino?
Bellissima, ma l’eucaristia è fatta per il popolo. Chi la vuole e la pretende spesso lo fa ad uso ideologico. Anche il papa celebra spesso in latino, ma si rischia di vedere qualcosa di magico nel vecchio rito.
Non avverte il rischio di una Chiesa operatrice sociale come tante altre istituzioni?
Benedetto XVI nasce come teologo da una tesi dottorale sulla liturgia. La Chiesa cattolica è il sacramento del corpo del Signore che avanza nel tempo, anche in mezzo a tanti errori e veri e propri orrori ed è il mistero stesso del nostro Signore Gesù Cristo, concentrato nella somministrazione dei sacramenti. Non c’è sociologia nella Chiesa cattolica, che è l’unica internazionale della carità. Si tratta, paolinamente, di un’epifania dei figli di Dio. L’ospitalità a un immigrato è ad esempio, epifania dell’essere cristiano più che obbedienza ad un comandamento etico. La partecipante sensibilità al dramma altrui è dentro la pasta umana. <<Chiamami sempre amore>>, canta Roberto Vecchioni, mentre Giovanni Paolo II amava dire <<l’amore mi ha spiegato tutto, è stato tutto per me ed io ammiro questo amore ovunque esso si trovi>>.
Il ricorso alle canzonette nelle omelie non rischia di oscurare l’attualità del racconto e del messaggio evangelico?
Assolutamente no. Innanzitutto, le omelie sono tradizionalmente noiosissime. Non a caso, Papa Francesco chiede di non superare gli otto minuti. Per il cardinale Carlo Maria Martini l’esistenza dello Spirito Santo è dimostrata dalla sopravvivenza della Chiesa a milioni di prediche noiose. L’omelia è anche un pezzo di retorica che si avvale di strumenti e citazioni. Si può spiegare San Tommaso D’Aquino attraverso Vasco Rossi e non il contrario.
Quale papa ha più efficacemente attuato le grandi novità concettuali introdotte dal Concilio Vaticano II?
Credo che a modo loro tutti i papi ne siano stati ottimi attuatori. Il Concilio è un oceano da navigare e ogni papa ha dato una sua rotta. Il Concilio, del resto, è stato globalmente attuato attraverso la figura stessa del papa, sempre più chiaramente successore dell’apostolo Pietro e non di un faraone.
Non è finalmente giunto il momento di inseguire concretamente l’aspirazione ad una riunificazione di tutti i cristiani?
Assolutamente sì. Quest’aspirazione è la speranza del cammino ecumenico, almeno da Paolo VI e dal suo incontro con il patriarca Atenagora. L’ecumenismo è coessenziale al Concilio Vaticano II. Le differenze sono profonde, ma la bardatura imperiale di un papa medievale è totalmente dismessa e siamo sempre più vicini al ‘Papa Angelico’ della tradizione di Gioacchino da Fiore.
Il libero arbitrio nella visione di Antonio Staglianò?
Il libero arbitrio, purtroppo, non è spiegato tanto bene perché viviamo nel metaverso illuministico. Tra le sue strutture, esaminiamo il concetto di individuo (da individuum) equiparato ad un atomo, all’epoca creduto indivisibile, o ad una monade, un soggetto autocentrato, fonte di diritti e di doveri. Ma è mai esistito un individuo? La libertà è autonomia e autodeterminazione, ma è mai esistita questa libertà? In natura non esiste l’individuo, ma la persona, di cui l’individualità è una modalità. La persona è ‘relazione a’ e senza legami non esiste la persona. Il concetto di individuo è quindi un avatar creato dal metaverso illuminista. Allo stesso modo, la libertà è confusa con l’arbitrio. Il libero arbitrio è il motore della libertà, cioè una sua struttura fondamentale, mentre la libertà vera non sta nell’arbitrio, che può portare anche al male, schiavizzando la persona. La libertà dell’essere umano è quindi solo la libertà di fare il bene, o meglio, è l’attuazione del bene. Se non accogli un migrante, ad esempio, non sei libero, perché non manifesti la tua ‘ontologia’.
Quali punti di contatto scorge tra il Cristianesimo e le altre grandi religioni, non solo rivelate e monoteiste, del mondo?
Proprio perché il genio del cristianesimo è in Gesù, la salvezza che il Cristianesimo porta nel mondo riguarda tutti. L’anno prossimo celebreremo i 1.700 anni dal Concilio di Nicea, contro l’eresia di Ario. Tutta la creazione ha un rapporto con Cristo, inclusi Budda, Maometto e tutti gli uomini delle religioni non cristiane. In quanto esseri umani hanno, infatti, con Cristo un rapporto creaturale (cristocentrismo obiettivo). Non c’è quindi problema a ritenere che anche le altre religioni possono essere una via di salvezza.
E quali differenze le sembrano, ad oggi, inconciliabili?
La differenza sta nel fatto che Gesù Cristo esprime il mistero dell’applicazione integrale dell’amore all’intera umanità e non lo fa con la saggezza delle idee, ma con il vissuto crocifisso della sua persona. Si pensi al perdono: quale religione chiede di amare i propri nemici? Perdonare l’imperdonabile e perciò non arrogarsi il diritto di sopprimere vite umane, non solo gli innocenti, ma anche i colpevoli.
La teoria del ‘cristiano anonimo’ di Karl Rahner può, da sola, spiegare il senso dell’impossibilità sostanziale, per almeno metà della popolazione terrestre, di conoscere Cristo?
Credo che la teoria del cristiano anonimo sia una via interpretativa del rapporto creaturale tra l’uomo e Cristo. In quanto cristiani siamo, tuttavia, chiamati a testimoniare Cristo nel mondo. Certo, Gandhi è stato più cristiano, benché anonimo, di tanti cristiani praticanti e, d’altra parte, nessuna coscienza umana è fuori dalla grazia cristiana. E’ un mistero della grazia di Cristo e dello Spirito creatore che tante persone – per proprie vie - riescano a vivere forme di amore che assomigliano a quelle insegante da Gesù nella sua predicazione.
Tornando al Cattolicesimo ‘praticato’, le chiese sono certamente meno affollate di qualche decennio fa, soprattutto meno frequentate dai giovani. Sono forse, in compenso, cresciuti consapevolezza e ascolto?
No, purtroppo no. Nella mia esperienza di vescovo per 14 anni a Noto, ho constatato l’apparizione della prima generazione sostanzialmente incredula, quella dei ‘millenials’. Giovani atei crescono e l’ateismo si sta diffondendo come una religione. I giovani sono nelle braccia di Narciso e dell’ipermercato, impegnati, con i social, a seguire gli influencer, devastazione barbara dell’umanità, frutto essi stessi dell’ipermercato che azzera l’umano. I giovani non seguono più la bellezza che salva il mondo, come quella di Madre Teresa di Calcutta o di Carlo Acutis.
In quale macroarea del nostro Paese avverte una ‘religiosità’ più consistente?
Sicuramente nel Meridione ancora resistono, attraverso la pietà popolare, valori religiosi, spirituali e profondamente umani. Per pietà popolare intendo pellegrinaggi, santuari e forme pie della pietà. Le feste religiose sono, invece, spesso, espressione di folklore e paganesimo. In ogni caso, il Sud può diventare una risorsa pastorale, oltre che civile e politica, un’autentica speranza per l’Italia, all’insegna di un nuovo umanesimo.
Nella sua storia personale è stato più facile fare breccia nel cuore di un ateo, di un agnostico o di un credente tiepido e disilluso?
Credo di poter dire che è una questione di delicatezza nell’accompagnare alcuni percorsi di dialogo. Con gli atei mi sono confrontato molto, approfondendo il loro campo di azione, per ottenere rispetto e apertura. Bisogna dialogare con tutti. Insieme, dobbiamo combattere la barbarie umana che l’ipermercato ci sta proponendo.
Una 'summa theologiae' è concepibile ai nostri giorni?
Credo di no, ma un’enciclopedia sì. Oggi la teologia, infatti, può essere praticata soltanto in una ‘società degli amici’, sul modello di Rosmini.
Quali letture ‘classiche’ e ‘contemporanee’ considera imprescindibili per un 'itinerario della mente verso Dio'?
Tra i classici, il citato San Bonaventura e le ‘Massime di perfezione cristiana’ di Antonio Rosmini. Per quanto attiene alla teologia contemporanea mi riferirei principalmente al magistero di Joseph Ratzinger. Più che altro mi muoverei su una lettura teologica della santità. Ho appena scritto un’opera intitolata ‘Spiritualità e teologia’.
E quali ascolti e visioni?
Mi sembrano particolarmente profondi i testi scritti da Amara, ma anche quelli di Fabrizio Moro e Simone Cristicchi. Quanto alla cinematografia non punterei sulla tematica strettamente religiosa. Come non considerare ‘La ‘Grande bellezza’ una visione di grande impatto cristiano?
Esiste il diavolo?
Certo che sì. Il problema degli esseri umani è captare la presenza di questo grandissimo simulatore. Opere sataniche per antonomasia sono, ad esempio, le guerre in corso. Nelle strutture di peccato che animano il mondo, c’è Satana. Laddove l’umanità dell’uomo è spersonalizzata c’è Satana.
Ettore Zecchino