Erudito ma palpitante saggio su un episodio chiave dell’Antico Testamento, ‘I volti dell’Avversario. L’enigma della lotta con l’Angelo’, di Roberto Esposito (Einaudi), segna un elemento di forte discontinuità nella produzione scientifica del suo autore (storicamente impegnato in temi di filosofia politica), almeno quanto l’episodio narrato lo è per il suo protagonista. Il patriarca Giacobbe è infatti ‘scaraventato’ dall’autore (o autori) della Genesi in una lotta notturna nei pressi del torrente Iabbòq, apparentemente scollegata dal resto della narrazione, fino a quel momento incentrata sulla sua fuga dalla possibile vendetta del fratello Esaù, ripetutamente ingannato. Il breve passo, tra i più suggestivi e al tempo stesso elusivi dell’universo biblico, irrompe letteralmente nella narrazione, presentandoci un Giacobbe che, giunta ormai la sera, rimasto solo alle soglie di un piccolo affluente del fiume Giordano, dopo averne consentito l’attraversamento alla sua numerosa carovana familiare, viene aggredito da una figura non identificata. Questa misteriosa entità, alla lettera questo ‘qualcuno’, lo costringe a una drammatica lotta per la sopravvivenza durante l’intera notte e, in prossimità dell’aurora, chiede di potersi ‘congedare’. Alla stupefacente richiesta di benedizione da parte di Giacobbe, l’Avversario la concede, ferendo irreparabilmente all’anca il patriarca e, contestualmente assegnandogli il nuovo nome di Israel, come <<colui che ha combattuto con gli esseri divini e con gli esseri umani e che ha prevalso>>. Una solenne investitura divina per il patriarca e per il suo popolo!
Chi aveva dunque affrontato Giacobbe sulla riva dello Iabbòq?
Alla domanda, sulla quale si fonda l’intero saggio, Roberto Esposito risponde non rispondendo, come si evince già dal sottotitolo che rimarca la natura inevitabilmente enigmatica dell’intera vicenda. Il professore emerito dell’Università Normale Superiore di Pisa ci consegna, comunque, uno straordinario lavoro di scavo e di riflessione sul tema, tenendoci per mano in un viaggio attraverso celebri interpretazioni dirette o indirette dell’episodio biblico. E così, partendo dalla più tradizionale identificazione angelica, i capitoli del libro esaminano la gran parte delle interpretazioni (soprattutto laiche) fornite su questa ‘identità, che, complice la vertiginosa elusività del testo biblico, possono materializzarsi, con indiscutibile plausibilità, ora in un uomo, ora in un demone, ora, addirittura, in Dio stesso. Come anche risolversi in un episodio dai contorni esclusivamente onirico allegorici (simbolica ferita all’anca inclusa). Sarà la seconda parte del saggio, tuttavia, a rivelare, almeno in parte, il punto di vista più ‘personale’ dell’autore che, parzialmente nascosto dietro alcuni suoi costanti riferimenti culturali, sembra prendere coraggio e, come Giacobbe, riuscire, almeno a tratti, a guardare direttamente in faccia l’enigma. Dall’amato Charles Baudelaire, con il suo ‘Duellum’ che, in una prospettiva solo apparentemente altra, si avvicina moltissimo alle atmosfere del passo biblico, passando attraverso il poderoso ‘Giuseppe e i suoi fratelli’ di Thomas Mann, l’autore si incammina, quindi, lungo un percorso che include storia, filosofia, arte, psicologia, alla ricerca dei più interessanti punti di vista laici sull’argomento. Stimolato da un trentennale richiamo pittorico suscitatogli dall’affresco ‘Lotta di Giacobbe con l’angelo’ di Eugène Delacroix, realizzato per la chiesa parigina di Saint-Sulpice, Esposito non esita a ‘tradire’ il suo principale ispiratore artistico, scegliendo, per la copertina del libro, un altro, tra i tanti celebri ritratti a tema, ‘Visione del sermone’, di Paul Gauguin, dove la lotta viene rappresentata dal punto di vista esclusivo di alcune donne bretoni che la osservano. Una chiave di lettura preferita dal filosofo napoletano, che sembra condividere l’idea della Bibbia come ‘grande codice’ e ‘opera-mondo’ ma, proprio per questo, ben oltre il già rivoluzionario approccio luterano, in continua interazione con i suoi lettori, a maggior ragione con quelli di epoche lontanissime dai fatti narrati. Un approccio doppiamente laico, che consente ad Esposito la non dichiarata, ma evidente predilezione per una chiave di lettura psicoanalitica dell’episodio biblico, nel segno della lotta junghiana con la propria ombra, che accomuna tutti noi. Tale conflitto è considerato dal filosofo fatalmente necessario alla definizione della nostra stessa identità, in grado di emergere solo nell’ambito di una continuità relazionale con la sua alterità. Condizione, questa, riscontrabile sia nel necessario, doloroso confronto con la parte rimossa di noi stessi sia con le figure esterne a noi, rispetto alle quali la differenziazione ci consente la vita. Proprio come accadde a Giacobbe, sin nel grembo materno in lotta con il gemello Esaù per la primogenitura, ma, soprattutto, per l’emersione di una sua individualità. E la Bibbia, ci chiarisce Esposito, chiamando in causa lo psicoanalista Massimo Recalcati, non a caso pone la fratellanza alla base di numerosi conflitti e percorsi di crescita dei suoi protagonisti individuali e collettivi.
L’opera di Roberto Esposito si configura, quindi, come un ulteriore passo avanti nell’analisi di un episodio tra i più enigmatici nella storia della cultura occidentale, comprensibilmente oggetto di accresciuto interesse negli ultimi due secoli, grazie ai progressi delle scienze della psiche, sconosciute ai patriarchi ma in qualche modo collegabili al testo biblico. Questo, a differenza di quelli omerici, può contare, infatti, secondo Esposito, su una plasticità e una duttilità uniche, determinate dalla sua vocazione ad essere calato nella storia e ad accompagnarne gli sviluppi. Di qui, l’assoluta utilità di un’analisi orgogliosamente laica, come quella di Esposito che, in verità, appare meno coinvolto dalle tradizionali interpretazioni teologiche ebraiche e cristiane. Altrimenti, alla logica del conflitto aggiungerebbe quella dell’umiliazione e della sofferenza come possibile punto di contatto, attraverso la preghiera, tra l’umano e il divino, lungo un’imperscrutabile strada che il credente fideisticamente percorre e che il laico in qualche modo può ‘vedere’. Forse anche per questo, in Occidente, un po' tutti, crocianamente, <<non possiamo non dirci cristiani>>.
Ettore Zecchino