Raccolta di articoli e brevi saggi sul Medio Oriente, scritti dall’autore negli ultimi sette anni, ‘Terre e guerre di Israele’ di Cosimo Risi (Luca Sossella Editore), sconta i pregi e i difetti della formula utilizzata. E così, alla freschezza cronachistica di tutti i passaggi descritti, fa da contraltare, in qualche caso, un’oggettiva mancanza di coordinamento tra loro. Il lettore può, quindi, contare sul privilegio di fruire, in un solo colpo, di sette anni di cronache mediorientali, come assicura il sottotitolo, realizzate da un grande esperto della materia, per di più dotato di un indubbio talento letterario. Al tempo stesso, se non munito di robuste coordinate geopolitiche, rischia, tuttavia, di non comprendere appieno gli eventi descritti, in qualche caso, divenuti ‘storia’ o, al contrario, ridimensionati dal tempo.
L’opera, nonostante l’ironia tagliente spesso utilizzata e al netto della godibilità stilistica, marchio e garanzia dei lavori di Risi, non può essere considerata ‘divulgativa’, né sembra essere animata da intenti didascalici. Il diplomatico di lungo corso, qui un po' cronista, si limita a fornire al lettore elementi per comprendere gli eventi, non ingannandolo con semplificazioni di sorta. Per i non esperti, la lettura va, quindi, costantemente integrata con paralleli approfondimenti storico-geografici, nell’accezione più ampia delle due discipline. La storicizzazione è infatti a 360 gradi, inquadrando il fenomeno di volta in volta descritto da un punto di vista religioso e antropologico, ma anche politico e letterario. E sempre immergendolo in un contesto più ampio. Dalla Libia all’Algeria, dalla Tunisia alla Turchia, dalle monarchie del Golfo all’Iran, nessun episodio di rilievo del Medio Oriente viene trascurato, dando alla ‘vexata quaestio’ israelo-palestinese un inquadramento quanto più ampio possibile. Fino a valutarne i potenti riverberi sull’altro, grande scenario bellico in corso e, più in generale, sulle politiche di potenza di vecchi e nuovi imperi. Vicende che, dall’Ucraina all’Estremo Oriente, vengono studiate in una logica d’insieme, pur rifuggendo da forzature ‘olistiche’, molto di moda in certa saggistica politica contemporanea, sedotta e impigrita dal paradigma passe-partout del ‘villaggio globale’. Leggere ‘Terre e guerre di Israele’ impone, invece, ben precisi approfondimenti, solo ‘suggeriti’ dalla pur opportuna cronologia minima inserita dall’autore a fine testo. Contemporaneamente, e non contraddittoriamente, il libro ‘consente’ una fruizione a pezzi, non vincola cioè, necessariamente, a un ordine convenzionale di lettura. Ciascun capitolo, infatti, pur collegato agli altri, rappresenta, in qualche modo, un piccolo microcosmo, come nella migliore tradizione giornalistico-saggistica, da Risi assolutamente padroneggiata, ma un po' a modo suo. Il diplomatico salernitano ha infatti consolidato nel tempo un peculiare approccio al compito cui è chiamato, cercando e trovando una sostanziale equidistanza tra la semplice descrizione degli eventi e la loro interpretazione ‘accademica’, mirabilmente regalataci da alcuni suoi illustri colleghi, collaboratori di importanti testate giornalistiche. Colpisce la sua capacità di farsi cronista colto, profondamente consapevole degli antefatti alla base dell’attualità descritta e in grado di offrire chiavi di lettura complesse e spesso ‘aperte’, ma sempre incentrate su una logica testardamente fattuale. Le sue idee, la sua visione personale, spesso si intuiscono, talvolta si leggono esplicitamente, ma, nella migliore tradizione diplomatica, non diventano mai una gabbia ideologica. L’ambasciatore Risi inquadra, infatti, le vicende per come realmente si presentano, anche se le offre alla nostra conoscenza attraverso le lenti di chi ne ha viste e lette tante (costanti sono i riferimenti ai vari Said, Le Carrè, Lean, ma anche autocitazioni di Issa, brillante investigatore uscito anni fa dalla sua penna).
Una generosa aneddotica consente, infine, di comprendere il senso di alcune posizioni anti-intuitive coltivate dall’autore, che, disilluso quanto basta, punta ad interessare più che a convincere, aiutato sempre dal suo fascinoso understatement diplomatico.
Ettore Zecchino