I protagonisti delle due culture

    Alessia Fornoni

    Alessia Fornoni

    Nata e cresciuta ad Ardesio, nella bergamasca Val Seriana, Alessia Fornoni si è formata all’Università di Pavia, da dove, dopo la laurea in medicina e un dottorato in fisiopatologia, ha preso il volo per il National Institute of Health di Bethesda (USA). Ha poi seguito il gruppo di ricerca di Gary Striker a Miami (USA). Nella città della Florida vive da 25 anni e attualmente insegna Medicina, Farmacologia Molecolare e Cellulare e Biochimica presso la Miller School of Medicine della locale università. Ottenuta la cattedra di Nefrologia, è stata anche primario nefrologo dal 2016 al 2023. Attualmente dirige il Peggy and Harold Katz Drug Discovery Center, un centro scientifico che ha generato farmaci testati, proprio in questo momento, in diversi trial clinici.
    Membro dell'American Society of Clinical Investigation (ASCI, 2017), dell'Association of American Physicians (AAP, 2021) e della Florida Academy of Science, Engineering and Medicine (ASEMFL, 2023), Alessia Fornoni è vicedirettore entrante del Journal of the American Society of Nephrology e sarà presidente scientifico del Congresso mondiale di nefrologia 2024, in programma a Buenos Aires il prossimo aprile.

    Vincitrice di numerosi premi di mentorship, tra cui Cavaliere della stella d’Italia nel 2018, grazie al suo lavoro pionieristico sulla segnalazione dell'insulina, sul metabolismo del colesterolo e sui percorsi correlati agli sfingolipidi, ha scoperto nuovi meccanismi patogenetici e approcci terapeutici per i disturbi glomerulari, tradotti con successo in studi clinici in corso.

     

    Professoressa, in Italia si sa forse ancora poco della sua lunga avventura scientifica a Miami. Ce ne può parlare, partendo da un rapido ‘riassunto delle puntate precedenti’?

    La mia esperienza scientifica all’estero è stata la prova che la meritocrazia può esistere. Ho lasciato Ardesio per recarmi a Pavia a studiare medicina con l’intenzione di diventare medico di base in paese (il sogno di mio padre), e mai avrei pensato di diventare un medico e uno scienziato di fama internazionale. Guidata da una forte etica del lavoro e dall’ambizione di ‘scoprire e trasformare’, mi trovo oggi a fare un lavoro che è quasi il mio hobby preferito.

     

    Quali differenze principali individua tra il sistema della ricerca a stelle e strisce e quello italiano?

    Nel mondo accademico italiano, che ho lasciato alle spalle, il mio duro lavoro andava a beneficio di altri. In quanto donna cresciuta in una famiglia di un ceto sociale basso, non avrei avuto nessuna opportunità.  In America ho invece conosciuto la meritocrazia. In Italia, ad esempio, non avrei mai potuto ottenere, a 43 anni, un primariato e una cattedra in un ateneo di valore. Ed è un vero peccato, perché il nostro è un Paese bellissimo e gli italiani sono tutti degli inventori nati.

     

    All’interno del sistema statunitense riscontra una certa omogeneità o i ‘dislivelli’ sono molti?

    I dislivelli in America vengono abbattuti dalla qualità del lavoro ed è la persona che fa il titolo, quasi mai il contrario.

     

    Il primato della ricerca USA nel mondo è più o meno solido di quello politico?

    Il primato politico deriva in parte dagli ingenti investimenti realizzati nella ricerca, ma il denaro non è sufficiente a comprare nuove idee e a sviluppare nuove tecnologie. Una buona educazione e la coltivazione della curiosità intellettuale rimangono alla base del successo scientifico. Non a caso, nel mondo asiatico ed europeo, l’alta competitività della ricerca non è sempre collegata ad un primato politico.

     

     Il virtuoso sistema statunitense mostra comunque delle crepe. Tra queste potrebbe annoverarsi anche la dittatura del ‘politicamente corretto’?
    Quello americano è sicuramente un mondo più ‘finto’, dove ci si mette in gioco e si continua a giocare seguendo regole prefissate e dove rompere tali regole e innovare il sistema diventa quasi un reato. Da questo punto di vista vivere in Italia è un vantaggio.

     

    La grande rimonta della Florida sui tradizionali poli scientifici statunitensi deriva, almeno in parte, da questi aspetti?
    La crescita della Florida come polo scientifico e di business è soprattutto dettata dal sistema favorevole di tassazione. Non a caso, gli stessi italiani residenti in Florida sono raddoppiati negli ultimi tre anni.

     

    A livello puramente didattico, la preparazione universitaria italiana è da promuovere? Come si differenziano i suoi studenti e collaboratori formati in Italia rispetto a quelli che hanno studiato negli USA o in Cina?

    La formazione italiana è eccezionale per le basi teoriche molto forti che sa offrire. Le difficoltà cominciano nel passaggio dalla teoria alla pratica. Negli USA e in Cina, al contrario, si apprende spesso la pratica senza conoscere la teoria, e questo può diventare un problema, soprattutto quando le cose non vanno come ci si aspetta. Io sono molto contenta di aver fatto gli studi universitari in Italia, che, per la loro solidità teorica, sono stati fondamentali per la mia formazione di scienziato.

     

    Mantenendo questo approccio comparativo, ma cambiando settore, cosa può dirci del sistema sanitario statunitense, in Italia da alcuni considerato 'classista’?

    Davvero classista! Anche se paghiamo molte tasse non abbiamo un servizio sanitario uguale per tutti.

     

    E l’idea di un servizio sanitario universale e gratuito?

    Sarebbe ora di implementarlo, permettendo a tutti l’accesso ai nuovi trattamenti.

     

    Le sue riconosciute e pluripremiate capacità di mentorship le consentono un’integrazione piena nel sistema statunitense. Per la ricerca italiana sarebbero, tuttavia, utili ‘come il pane’. Non sente il ‘richiamo della foresta’?

    Lo sento notte e giorno. E spero che l’Italia mi dia la possibilità di aiutare i giovani a sognare. Mi farebbe anche sentire meno in colpa per essere scappata dal Paese più bello e simpatico del mondo!

     

    Può almeno investire su un’estensione del suo ruolo anche nella sua terra d’origine?

    Faccio spesso incontri con i giovani a livello locale, ma mi piacerebbe avere una presenza nazionale.

     

    In questo ambito può inserirsi anche la collaborazione immaginata con Biogem?

    Biogem ha una bella energia ed è un centro di ricerca nato con l’intenzione di innovare. Potrebbe quindi essere un punto di partenza eccezionale, anche perché è scientificamente diretto dal professore Giovambattista Capasso, per il quale nutro una profonda stima.

     

    Ce ne può parlare più nel dettaglio?

    A Biogem ho incontrato scienziati qualificati e competenti. Li vorrei aiutare a connettersi maggiormente con il mondo.

     

     Oggi rifarebbe per intero il suo percorso di ricerca e di vita?

    Penso proprio di sì, anche se l’arte e la letteratura italiane mi mancano molto.

     

    Quali progetti la coinvolgono maggiormente in questo momento?

    Quelli concernenti lo sviluppo di farmaci per la cura della malattia renale cronica.

     

    Cosa dobbiamo aspettarci dal congresso mondiale di nefrologia, quest’anno da lei presieduto?

    Posso dire che è sempre stato un congresso molto ‘clinico’, ma che quest’anno lo abbiamo ‘modificato’ per portare un po’ più di innovazione.

     

    Le sue ricerche utilizzano molto la biologia computazionale. Quale sarà il ruolo dell’Intelligenza Artificiale e quali gli eventuali rischi derivanti?

    Vorrei poter avere una seconda vita per occuparmene. Questa è infatti una vera rivoluzione e rappresenta il futuro della medicina.

     

    Il tema è un classico argomento da ‘due culture’. Un approccio di questo tipo alla ricerca è più forte in Usa o in Italia?

    Gli Usa arrivano sono sempre primi, anche se non sempre capisco il perché.

     

    Conosceva già l’iniziativa a delle ‘Due Culture’ di Biogem?

    No, ma è stato bello discuterne con il professore Zecchino.

     

    Ha nostalgia dell’Italia?

    Molta.

     

    E della sua Val Seriana?

    Un po’ meno…troppo cupa e buia….ma casa è sempre casa e la mia mamma vive ancora lì.

     

    Da medico e da ardesiana, quali emozioni ha provato durante il flagello COVID-19?

    Per tutti noi nel settore sanitario è stata una vera battaglia e, in certi momenti, ho dovuto fare appello a tutta la mia tenacia da montanara e valligiana. Il COVID ci ha almeno insegnato a rallentare e ad apprezzare le cose, come la bella tartaruga della canzone di Bruno Lauzi. Le consiglio di ascoltarla, se non la conosce già.

     

    Ha delle spiegazioni per la particolare forza del virus nella bergamasca?

    Penso che ci sia di mezzo una questione genetica. Questa è stata infatti la stessa zona colpita pesantemente dalla peste.

     

    Remuzzi, Locatelli, Garattini, Fornoni. Per altri versi, non è forse un po' magica l’area bergamasca?

    Davvero una bella coincidenza…o forse no. Veniamo tutti da una formazione diversa, ed è bello vedere come i Bergamaschi nel mondo abbiano contribuito a far avanzare le conoscenze in nefrologia.

     

    Biogem è situata nel profondo meridione interno. Con le enormi differenze del caso, da dove partire per una rimonta nei confronti dei grandi poli della ricerca centro-settentrionali italiani, come è riuscita a fare Miami negli USA?
    Presenza sui social media, attrazione di capitali per favorire collaborazioni, sviluppo di nuove tecnologie e start ups.

     

    Ettore Zecchino


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