I protagonisti delle due culture

    Antonio Ereditato

    Antonio Ereditato

    Professore emerito dell’Università di Berna, dove è stato ordinario di Fisica delle Particelle Elementari dal 2006 al 2020, Antonio Ereditato, che vanta anche importanti trascorsi al CERN di Ginevra e all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Napoli, è attualmente visiting professor in un tempio della ricerca mondiale, quale è l’Università di Yale, negli Stati Uniti. Il professore, negli ultimi anni, si è calato con successo anche nei panni del divulgatore scientifico di alto livello, talvolta in coppia con un altro grande italiano, il genetista Edoardo Boncinelli. È un protagonista assoluto delle ‘Due Culture’ a Biogem, sin dai primi anni della rassegna.

    Caro professore, cosa dicono di noi, in questo momento, nella comunità scientifica internazionale?

    Si è sempre saputo che l’Italia, nonostante una cronica instabilità politica,  onora i propri impegni, contrariamente ad altri Stati, pur storicamente e politicamente stabili. Basti pensare agli Usa di Trump, o, per citare un caso meno noto, alla compassata Austria, che una decina di anni fa decise di uscire dal CERN, salvo rimangiarsi subito la decisione presa, sotto la spinta di imponenti petizioni, scientifiche e non. Venendo alla stretta attualità poi, confermo che Mario Draghi può contare su una rispettabilità internazionale assoluta. Molti colleghi mi chiedono infatti perché solo ora si è pensato a lui.

    Come ha ‘scoperto’ le ‘Due Culture’?

    Ricevetti una bellissima lettera-invito del presidente Ortensio Zecchino nel 2012. Accettai subito e ricordo ancora con piacere la tavola rotonda cui partecipai, con Paco Lanciano e Giovanni Caprara.

    Perché se ne è innamorato?

    Per la presenza e la personalità di Ortensio Zecchino, una grande sorpresa per me, che da giovane diffidavo dei ‘vecchi’ democristiani. Aggiungo il piacere della scoperta di nuove discipline, comune a tutti gli operatori della scienza. È un po’ come ricreare un’atmosfera rinascimentale. Come un angolo di casa dove incontrare amici vecchi e nuovi all’insegna del networking, di cui oggi tanto si parla. Quando ci si incontra in contesti come questo 1+1 finisce sempre col fare 3.

    Detto da un fisico come lei!

    Confermo tutto. Una magia simile la riscontro, ad esempio, nell’Aspen Group, di cui mi onoro di essere un membro appassionato.

    Quale edizione le è rimasta nel cuore?

    Tutte. Soprattutto quelle nelle quali ho dovuto collaborare attivamente all’organizzazione, come quando riuscii a portare a Biogem il fisico giapponese Takaaki Kajita, all’epoca da poco insignito del premio Nobel. Ricordo con molto piacere e orgoglio come il collega nipponico apprezzò il meeting.

    E gli interventi memorabili?

    Mi vengono in mente Giuseppe Remuzzi in ambito scientifico e il mio amico Maurizio De Giovanni in ambito umanistico. Ma sono solo due nomi di una lunga lista.

    Quale contributo sente di aver dato alla crescita del meeting?

    Credo di aver improntato sempre la mia partecipazione al più puro rigore scientifico, cercando modestamente di cautelare questo tipo di eventi dal rischio sempre in agguato di un approccio qualitativo alla discussione degli argomenti . Intendiamoci, anche il ricercatore puro deve fare un bagno di umiltà e capire, ad esempio, che possono esserci delle raffinatezze intellettuali assolute nei ragionamenti non ‘scientifici’, ma il bastiancontrarismo, soprattutto in Italia, è una vera e propria patologia del sistema.

    Continuerà a partecipare alle ‘Due Culture’?

    Assolutamente si.

    Ritiene di poter offrire qualche consiglio per migliorare la rassegna?

    Penso si debba allargare la partecipazione, invitando organizzazioni e gruppi anche esterni al territorio, magari creando un’associazione del tipo gli ‘Amici delle Due Culture’, con tanto di tessere fidelizzanti, in modo da coinvolgere più attivamente un maggior numero di persone, a cui donare i frutti di eccellenza che scaturiscono dal meeting.

    In quale stato di salute è il dialogo fra le due culture nel mondo?

    Direi proprio in buono stato. Oggi si parla molto di contaminazione, un concetto più avanzato (o forse solo più moderno) dell’ interdisciplinarietà.

    Quando ha scoperto la vocazione per la ricerca?

    Ero in quinta elementare e cresceva in me la curiosità di conoscere i ‘meccanismi’ della natura. I perché più dei come.

    Chi sono stati i suoi maestri?

    Parlerei piuttosto di riferimenti, modelli, esempi. Non posso non partire dalla professoressa Fortunata Sassi, all’epoca mia insegnante al Liceo Scientifico Arturo Labriola di Napoli. È stata lei, tra l’altro, a consigliarmi di iscrivermi a Fisica. La ascoltai e molti anni dopo la incontrai per caso al CERN, dove accompagnava una scolaresca. Proprio non mi aspettavo di ritrovarla in quel luogo, e, appena la vidi, tornai per un attimo suo allievo. Fu davvero un’esperienza molto emozionante.
    Al primo anno di Università scoprii il genio di Ettore Pancini, premio Nobel mancato per ragioni ‘geopolitiche’ nell’Italia del secondo dopoguerra. Inarrivabile, ma pur sempre un modello.
    E poi, da giovanissimo ricercatore, a Dubna, nell’allora Unione Sovietica, ebbi la fortuna di incontrare Bruno Pontecorvo, un mio mito scientifico. L’aver lavorato immodestamente nel campo in cui il Professore è stato un faro mi riempie di orgoglio.

    Quanto le ha dato Napoli?

    Mi ha fatto diventare napoletano, che è un grande valore aggiunto fuori dalla città. Il napoletano è creativo, sveglio, veloce, impara presto e, fuori casa, alla furbizia sostituisce quasi sempre l’intelligenza.

    Il 'fuitevenne' eduardiano è quindi ancora valido?

    Temo proprio di si.

    Prevede di tornare a fare ricerca attiva in Italia?

    Mai dire mai. Comunque, il mio compito principale ora è insegnare, non solo in senso accademico. Mi piacerebbe, ad esempio, contribuire a creare delle infrastrutture funzionali alla ricerca da parte dei giovani.

    Come arginare la cosiddetta fuga dei cervelli?

    Ormai è un esodo biblico. Il sistema italiano al momento non è in grado di motivare sufficientemente le nostre eccellenze. Il problema è duplice: la mancanza di risorse e il ruolo del ricercatore nella società. Purtroppo, non riusciamo ad essere competitivi sul mercato dei cervelli come Paese, ma solo (e molto bene) come individui.

    Dove si dispiega maggiormente il suo ‘lato’ umanistico?

    Nelle passioni per la filosofia, la letteratura e la musica.

    Quali libri l’hanno folgorata?

    Uno per tutti: ‘Il gene egoista’ di Richard Dawkins, un testo che farei leggere a tutti i ragazzi delle scuole già in terza media. L’ho letto da adulto e ho finalmente capito davvero cos’è l’evoluzione. Non mi convince, invece, l’approccio un po’ integralista che Dawkins ultimamente ha assunto verso la religione.

    Quindi, crede in Dio?

    No, e anzi le dico che il più grande’ avversario’ delle religioni è proprio l’astrofisica. Grazie ad essa, infatti, sappiamo di essere totalmente irrilevanti rispetto all’enorme tutto che ci circonda. Altro che centralità dell’uomo, altro che immagine e somiglianza di Dio, e così via formulando.

    Si è consolato con la musica?

    I gruppi pop-rock degli anni Settanta erano effettivamente veri e propri farmaci per le nostre crisi esistenziali giovanili. La musica classica l’ho scoperta da adulto, ma è stato un piacere enorme, dal sublime Mozart al ‘matematico’ Bach. Oggi sono letteralmente ossessionato dal jazz, in ogni sua forma. Mi pento di non aver studiato da giovane. Forse avrei dedicato la vita alla musica e non alla fisica?

    Da cittadino del mondo va per musei?

    Solo se interessato a un singolo capolavoro. Il museo come ampia raccolta di opere un po’ mi annoia. Preferisco quelli interattivi.

    Come Biogeo?

    Appunto!

    In Svizzera frequenta di più il teatro rispetto all’Italia?

    No, anzi, a Napoli ero abbonato al San Carlo.

    Un film di fantascienza promosso a pieni voti?

    Senza dubbio '2001 Odissea nello Spazio'. di Stanley Kubrick, il quale è per me il regista per antonomasia, capace di sfornare un capolavoro per ogni genere da lui affrontato. Al secondo posto, ma molto distante, indicherei 'Blade Runner', opera che ha aperto un nuovo filone della science fiction cinematografica, cupo, umido, inquietante, e disperato.

    Suo vicino di rubrica, questa settimana è il vino. Lo beve?

    Con moderazione. Solo quando abbiamo ospiti a cena.

    Preferenze?

    Brunello di Montalcino, Taurasi e i grandi francesi. Ho una vera passione per i vini di Chinon.

    Si trova bene ad Ariano Irpino?
    La considero ormai una specie di seconda o terza casa (ne ho collezionate molte nella mia vita). Amo ritornare nei posti che amo e Ariano è uno di questi.

    Sa che non pochi visitatori illustri la considerano una piccola Svizzera?

    Sicuramente offre relax e tranquillità, caratteristiche molto elvetiche e poco napoletane. Di qui lo stupore dei tanti colleghi, soprattutto stranieri, che cadono nell’equivoco ‘chilometrico’, immaginando di ritrovare le caratteristiche della ‘capitale’.

    È più libera la fisica newtoniana o quella relativistico-quantistica?

    La seconda. Quando c’è determinismo, infatti, per definizione non c’è molta libertà

    In che senso siamo liberi noi uomini?

    Tutti gli uomini viaggiano tra lo stato zero della schiavitù e lo stato uno della totale libertà. Credo sia opportuno avere dei vincoli. Tra i più condizionanti, ma fruttuosi, citerei l’amore.

    Ne parlerà alle ‘Due Culture’ 2021?

    Spero proprio di si, magari dal punto di vista della meccanica quantistica.

    Ritiene il mondo delle scienze dure mediamente penetrabile da un umanista?

    Difficile. Per farlo, anche l’umanista più colto e motivato non può infatti esimersi dal sudore della conoscenza tecnica.

    Considera più facile il contrario?

    Forse si, perché il metodo scientifico è comunque il paradigma conoscitivo più potente che esista.

    Quale parte del cosmo la affascina di più?

    Mi affascina enormemente la sua grandezza smisurata, occupata in grandissima parte dal vuoto assoluto.

    È più suggestivo il funzionamento del cervello o del cosmo?

    Quel poco che so del cervello l’ho appreso dal mio amico Boncinelli, e la sua funzione che più mi intriga è sicuramente quella che chiamiamo coscienza. Solo il cosmo, però, riesce a levarmi davvero il respiro.

    Meccanismi così complessi da cosa possono nascere?

    Dal caso, che ha creato l’energia, organizzatasi in maniera sempre più complessa negli ultimi 13,8 miliardi di anni.

    Il caso non esclude Dio

    Rimane, tuttavia, per dirla con Laplace, un’ipotesi non necessaria.

    La pandemia ha risvegliato un genuino desiderio di competenza e di conseguenti gerarchie. Sta nascendo una nuova figura di scienziato?

    Con la pandemia la scienza è diventata un bene rifugio. Abbiamo venduto gli asset tossici del rifiuto del sapere e del sapiente, dell’elogio dell’uno vale uno. Sono, tuttavia, scettico sulla durata del fenomeno. A pandemia vinta si venderà l’oro e si ricompreranno i titoli spazzatura.

    Il dubbio è un caposaldo della scienza, ma a volte sembrano prevalere dei dogmi

    No, questo è quello che pensa la gente.

    Come si fa ad essere certi di conoscere i primissimi momenti di vita dell’Universo se ancora non conosciamo a fondo il nostro sistema solare?

    Il sistema solare lo conosciamo benissimo. E, confermo, conosciamo il funzionamento del nostro universo altrettanto bene a partire da un misero picosecondo dalla sua nascita. Inutile dire che in quel picosecondo sono accadute cose fantastiche e tuttora ignote. Purtroppo, riguardo alla composizione dell’universo brancoliamo nel buio, anzi nel suo Lato Oscuro. Ne conosciamo un misero 5%.

    E come si fa a dire che ne conosciamo solo il 5%?
    Il totale della massa dell’universo lo stimiamo in base al moto delle galassie. L’energia totale dalla loro accelerazione. I calcoli che ne seguono ci forniscono uno scenario di grande ignoranza.

    La grande tradizione della fisica italiana è ancora viva?

    Si, nonostante una politica della ricerca inadeguata. Forse proprio grazie all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare la nostra disciplina ha parato il colpo meglio di altre.

    La cultura e la mentalità scientifica italiana sono omogenee a quelle del mondo occidentale?

    Gli scienziati non hanno nazionalità, né una reale individualità. Sono donne e uomini che da centinaia di anni formano un continuum e un unicum, passandosi un ideale testimone.

    Da napoletano sente come imbarazzante l’eredità crociana o ne è un po’ orgoglioso?

    Orgoglioso si, e anche tanto, per il ruolo di primo piano avuto nella storia e nella filosofia novecentesca, ma a Croce non perdono il fatto di aver notoriamente determinato quell’inspiegabile separazione tra cultura e ricerca scientifica, scolpita nell’articolo 9 della nostra Costituzione.

     

     

    Ettore Zecchino

     

     

     


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